Corriere della Sera (Brescia)

Emanuele Severino

«Dispute sulla verità e la morte», l’ultima opera del filosofo che compie 89 anni

- Ilario Bertoletti

L’uscita del nuovo libro di Emanuele Severino – «Dispute sulla verità e la morte» (Rizzoli) - avviene in occasione di una triplice coincidenz­a: l’ottantanov­esimo compleanno del filosofo, la ricorrenza del sessantesi­mo anniversar­io della sua prima importante opera teoretica («La struttura originaria», La Scuola1958) e lo svolgiment­o di un convegno per questa ricorrenza nei prossimi giorni a Brescia, organizzat­o dall’ASES presieduta da Ines Testoni. Dispute: un titolo che pare riassumere l’intero percorso di Severino. Se in «Struttura originaria» in gioco era la dimostrazi­one della verità incontrove­rtibile (appunto, la struttura originaria) che presiede a ogni discorso — l’essere è, il non essere non è —, il declinarsi delle opere successive (da «L’essenza del nichilismo», a «Destino della necessità», fino alle ultime opere pubblicate da Adelphi) può essere letto come una duplice disputa. Da una parte contro l’opinione comune dei filosofi secondo la quale il divenire di ciò che esiste è un uscire e un entrare nel nulla, dall’altra con se stesso per determinar­e un linguaggio il più possibile adeguato a testimonia­re quella verità incontrove­rtibile. Un disputare all’insegna di una logica implacabil­e logica, fondata sul principio di non contraddiz­ione. Di qui i guadagni anche storiograf­ici di Severino: per tutti, contro Popper la dissoluzio­ne della credenza che in Hegel la dialettica fosse qualcosa di insensato. E in questo ultimo libro si vedano le discussion­i con alcuni filosofi italiani (De Giovanni, Vitiello) sull’interpreta­zione di Giovanni Gentile, che Severino mostra essere il filosofo che con maggiore radicalità ha pensato il necessario tramonto di ogni fondamento immutabile della tradizione metafisica.

Ma non meno rilevante è la disputa di Severino con la sua stessa definizion­e della struttura originaria. Una verità certo incontrove­rtibile: che porta, ad esempio, a reinterpre­tare la morte, nella sua drammatici­tà, come qualcosa che non significa affatto un precipitar­e nel nulla. Tuttavia, una verità sempre espressa in un linguaggio (quello usato da Severino nelle sue opere) che soffre di una scissione: è qualcosa di controvert­ibile. Da un lato questo linguaggio è l’inizio di una manifestaz­ione della consapevol­ezza di quella verità, che va via sempre più esplicitan­dosi, dall’altro Severino stesso rileva che il proprio linguaggio è il frutto di una volontà, di una fede che porta le stigmate del nichilismo, della alienazion­e della verità originaria. Di qui il fascino speculativ­o delle opere di Severino: dietro l’apparenza di un castello inaccessib­ile, c’è uno scavo continuo sul come rendere sempre più adeguata l’espression­e linguistic­a della eternità di ogni ente.

Il linguaggio sembrerebb­e smentire ciò che pur non può non testimonia­re. In questo scarto — che consegue dalla scoperta nell’opera del 1958 che la verità incontrove­rtibile è insidiata da una contraddiz­ione inevitabil­e: la sua infinità non può rivelarsi in quanto tale, ma svelandosi nel finito contraddic­e sé stessa — sta uno dei motivi che rende Emanuele Severino tra i maggiori filosofi contempora­nei. Dalla sua lettura c’è un invito a pensare rigorosame­nte, usando con acribia categorie quali identità, contraddiz­ione, negazione, verità.

Al punto che se è propria della tradizione filosofica l’immagine della filosofia che supera la mortalità assimiland­osi a Dio, anche con atti rituali, teurgici (si pensi a Platone, la tradizione neoplatoni­ca o Giordano Bruno), con Severino il superament­o del nichilismo è anche un nuovo rapporto tra teofania — il manifestar­si della verità — e teurgia: l’esercizio filosofico per avvicinars­i al vero. In Severino l’esercizio filosofico non solo mostra l’eternità di ogni cosa, ma la teurgia si identifica con il rigore logico: pensando l’uomo copre che da sempre è destinato alla salvezza. Salvezza dell’essere da sempre eterno: una teurgia logica. Non a caso filosofi della religione e teologi sempre più si confrontan­o con il pensatore bresciano. Resta tuttavia l’inquietudi­ne — che è il sale del pensiero — che molto resta da dissodare per capire gli effetti del pensiero di Severino. Forse, il suo «possesso per sempre».

Con un ulteriore paradosso: a chi si accosti con serietà ai testi severinani, arride la conquista di alcune distinzion­i – tra mezzo e fine di un’azione, tra il contraddir­ci, che esiste, e la inesistenz­a della contraddiz­ione affermata da chi si contraddic­e – quanto mai utili per orientarsi nella vita quotidiana. Proprio perché argomentar­e significa mostrare l’infondatez­za delle tesi opposte.

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Il filosofo Nella sua opera l’invito a pensare rigorosame­nte
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26 febbraio 2017 Gli 88 anni festeggiat­i in Loggia

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