Non una di meno, femminismo e antirazzismo
Probabilmente più conosciuta all’estero che in Italia Cinzia Arruzza, docente di filosofia alla New School for Social Research di New York, sarà domani a Brescia (ore 20,30 - spazio C.Ar.M.E. via Battaglie 61) per presentare «Storia delle storie del femminismo» (Edizioni Alegre, 12 euro), libro scritto insieme a Lidia Cirillo che ripercorre due secoli di battaglie delle donne e vuole rappresentare una sorta di manifesto di «Non una di meno», il movimento globale che da un paio di anni si sta conquistando spazi e visibilità.
L’idea di fondo è che va bene il partire da sé, ma senza dimenticarsi di quel che accade intorno e immaginando un «nuovo femminismo giovane, di classe e antirazzista». Diverso «dal femminismo delle dirigenti d’impresa o falsamente universalista». Il libro è presentato a pochi giorni dall’8 marzo, da qualche anno tornato un po’ più conflittuale e un po’ meno giallo mimosa. Differenze col passato? «Le suffragette chiedevano uguaglianza, di voto e non solo, con gli uomini. L’idea era: siamo esseri umani, non abbiamo bisogno del tutor. Negli anni sessanta e settanta si recupera il concetto di differenza: non vogliamo essere uguali, ma questa differenza la giochiamo in chiave positiva. Oggi le società sono più complesse e più articolate. Entrano in gioco razzismo, origine, classe, orientamento sessuale. Non esiste la donna universale, con richieste valide per tutte».
Non c’è un rischio di relativismo e di accettare poi qualsiasi cosa?
«Non stiamo parlando di multiculturalismo acritico, ma diciamo che è necessario aprire un dialogo, capire le esigenze. C’è ancora parecchio da fare, peraltro: in Italia è ancora un movimento prevalentemente bianco. Le donne migranti non sono coinvolte e questo è ovviamente un problema aperto».
Le caratteristiche di questo movimento?
«Non una di meno è un movimento internazionale che ha preso il via in America Latina e si è diffuso ovunque nel mondo, con le proprie peculiarità. In Italia ha operato una rottura rispetto al passato, il legame tra razzismo e sessismo è ritenuto centrale, così come fondamentali sono considerate le dinamiche di tipo sociale».
Scommesse sulla tenuta? Non è la prima volta che i movimenti si sgonfiano...
«Le suffragette agivano in un contesto di nascita e sviluppo dei grandi movimenti operai. Gli anni sessanta e settanta erano quelli delle guerre anticoloniali e della nascita della nuova sinistra. Oggi non è così: il movimento Non una di meno è l’unico sulla scena e sta provando ad aprire la strada. E poi quelli del passato erano movimenti in fasi espansive, mentre adesso siamo più sulla difensiva. Ovunque, sul piano culturale e simbolico, c’è una situazione regressiva. Fermare questo arretramento è già un risultato: in Polonia, con difficoltà, dove è messo in discussione il diritto all’interruzione di gravidanza, per il momento ci stanno riuscendo».
L’otto marzo la parola d’ordine è sciopero generale: non è velleitario?
«L’idea era nata dalla protesta in Polonia nell’autunno del 2016. In alcuni Paesi dell’America Latina la mobilitazione è più ampia, in Italia siamo riusciti a convincere alcuni sindacati a dare copertura. È un messaggio: lo sciopero può essere simbolico, ma anche sperimentazione di nuove pratiche laddove possibile. E poi ci riappropriamo di uno strumento di lotta. Insomma, una campagna politica con l’ambizione di costruire esperienze modello».
Non una di meno è separatista?
«No, manifestazioni e riunioni sono aperte a uomini e donne. Se il punto è come la società è organizzata, la cambiamo insieme».