Renzi: solo noi seri per gli altri slogan
Il segretario Dem critica Salvini e i 5 Stelle: «Soltanto slogan»
Centinaia di persone ieri alla Camera di Commercio per Matteo Renzi. A una settimana dalle elezioni politiche il segretario nazionale dei Dem attacca Luigi Di Maio, Matteo Salvini e, in primis, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi che «prende in giro gli italiani». Ma il suo messaggio non è rivolto tanto agli elettori del Pd, quanto agli indecisi. Al 30% che potrebbe non recarsi alle urne. Renzi ha ricordato i risultati del Pd e gli slogan di tutti gli altri. A Brescia anche Maurizio Lupi, di Noi con l’Italia che spinge Mauro Parolini e Maria Teresa Vivaldini perché le «persone possano lavorare e vivere meglio».
«È dal 1999 che Berlusconi dice di voler abbassare le tasse». A una settimana dalle elezioni politiche Matteo Renzi attacca Luigi di Maio, Matteo Salvini e, in primis, il leader di Forza Italia che «prende in giro gli Italiani». Ma il suo messaggio non è rivolto tanto agli elettori del Partito democratico, quanto agli indecisi. A quel 30% che potrebbe non recarsi alle urne. O a chi immagina che la tassa unica diventi realtà. «La flat tax non esiste: è come credere a Babbo Natale». E, in effetti, nei quattro governi di centrodestra Berlusconi non riuscì mai a mettere in pratica «nemmeno la doppia aliquota».
C’è un elettorato moderato che Forza Italia e Pd si dividono. Con l’incognita del Movimento 5 stelle che prende voti in maniera trasversale. L’arrivo di Renzi a Brescia è stato un modo per marcare le differenze: il segretario dei democratici respinge l’idea del «tutti uguali». E alle centinaia di sostenitori accorsi in Camera di Commercio ricorda che gli altri partiti scandiscono «slogan», mentre il Pd è sinonimo di «serietà» e «risultati». Nel suo elenco Renzi ricorda il «milione di posti di lavoro in più», gli 80 euro (la copertura base è di 10 miliardi l’anno, ndr) che saranno però estesi anche alle famiglie per ogni loro figlio, l’industria 4.0, la riduzione dell’Irap, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, il testamento biologico. Ma soprattutto il fatto che il Paese è ripartito. A fine 2011 «lo spread era alle stelle» e Berlusconi decise di lasciare Palazzo Chigi. «L’Italia è uscita da quella situazione di crisi. E a tirarla fuori fu il Pd» è la rivendicazione di Renzi. Dimenticando di citare Mario Monti e il ruolo scomodo che fu chiamato a ricoprire. Una sorta di «damnatio memoriae», quella del senatore, che è legata a una logica da campagna elettorale. E da cui non è esente il segretario del Partito democratico, fino a dicembre 2016 presidente del Consiglio.
Ora la partita si gioca nel segreto delle urne, tra elettori indecisi, una sinistra divisa, l’incognita del Movimento 5 stelle e un centrodestra «sempre più a trazione leghista». Matteo Renzi ha condannato il gesto «strumentale» del leader del Carroccio che domenica a Milano ha mostrato — e poi giurato — su un rosario e sul Vangelo. «È la cultura che Matteo Salvini esprime che mi preoccupa. Lui non ha casa in Europa, sta con Marine Le Pen e Alternative fur Deutschland» attacca l’ex premier. Che poi mette in guardia anche dal votare Liberi e Uguali. Con la legge elettorale attuale, il rischio è che «se qui a Brescia scegliete il partito di D’Alema, poi in parlamento ci vanno i leghisti». Nel suo intervento Renzi cita di rado i Cinque Stelle, ricordando però la loro posizione ambigua sui vaccini e l’incapacità di Luigi di Maio di fare un confronto tv con il segretario Dem. Il 4 marzo si avvicina, «ora tocca a voi» l’esortazione di Renzi. Che chiede a ogni cittadino ed elettore di «spiegare agli altri il programma del Pd. Abbiamo 5 giorni — aggiunge — per far sì che il Partito democratico sia la colonna del Paese».