Cevo, il crollo della croce «Con copertura in rame sarebbe stata protetta»
Lo stato di conservazione, i controlli, il riposizionamento dopo anni. Nel processo a carico di cinque imputati del crollo della croce di Job (che il 24 aprile di 4 anni fa travolse e uccise un ragazzo di Lovere) — a dibattimento ci sono il direttore dei lavori Renato Zanoni e quattro soci dell’associazione Amici della Croce (Marco Maffessoli, Elsa Belotti, Bortolino Balotti e don Filippo Stefani) nel frattempo in abbreviato sono stati assolti monsignor Ivo Panteghini e don Santo Chiapparini — tornano a sfilare ingegneri e tecnici per riferire sulle condizioni del maxi manufatto altro trenta metri disegnato da Enrico Job e realizzato dalla Moretti Interholz nel 1998 per la visita di papa Wojtyla al Rigamonti, poi ricollocata al dosso dell’Androla di Cevo nel 2005. Per i consulenti la croce crollò «perché il 75% del legno era marcio». Renzo Gaffurini, ingegnere alla Moretti fino al 2002, si occupò proprio del progetto strutturale per il posizionamento della croce allo stadio, così come della «bozza dello studio di fattibilità preliminare per la ricollocazione a Cevo, da cui derivò quello definitivo, che prevedeva i due puntoni in basso e i due tiranti agganciati alla parte alta». Non solo. «Avevamo ipotizzato un rivestimento in rame, con tanto di preventivo»: scossalina, dunque, al posto della catramina. Ma «Job non accettò per motivi estetici, e l’associazione Amici della Croce mi sembra di ricordare non si mostrò particolarmente sensibile per una questione economica». E lo ribadisce, il teste: «Ho personalmente insistito affinché si realizzasse la scossalina. Nessun altro tipo di verniciatura avrebbe protetto il manufatto dalle intemperie. La catramina non era la soluzione ottimale e sfido chiunque a dire il contrario». Ma alla fine ne furono posate tre mani. Lo ricorda bene anche Giuseppe Sbaraini, letteralmente, il tiralinee di Job: «Enrico voleva che la croce fosse nera, dall’effetto materico, niente rame». Gaffurini è certo anche di un altro passaggio: nel 2005 «si ipotizzò la necessità di verificare le condizioni del legno prima di rimontare la croce sul dosso dell’Androla» così come «chi effettuò il trasporto a Cevo disse che i primi segni di degrado erano visibili». Pierangelo Delaidelli, responsabile del trasporto e del montaggio dei manufatti Moretti c’era, quando sabbiarono la croce. E «filò tutto liscio». Eppure nel 2008, passando per caso, segnalò, «mi sembra al Comune, un cattivo stato di manutenzione», che fu fatta poi anche nel 2013. «Ma ogni sei mesi bisognava procedere con un controllo». Non solo. «Secondo me — ha detto contraddicendo in parte anche la conclusione dei consulenti, l’acqua presente nella cripta, alla base del manufatto, che vidi dopo il crollo, altro non era se non quella che infiltrandosi nella parte superiore sfogava in fondo. Punto. Se tutto fosse stato sigillato alla perfezione non avrebbe dovuto succedere».