La fine delle mura venete
Le fortificazioni venete furono ribassate nel 1802-1811 e abbattute nel 1909
Le mura di via dei Mille. Erano uno scudo a difesa di Brescia. Vennero demolite in tempo di pace — era il 1909 — per consiglio di un medico, convinto che fermassero venti e brezze indispensabili per debellare i ristagni del colera e le epidemie al Carmine.
A ripensare a quegli spalti, già abbassati fra il 1802 ed il 1811 e trasformati in viali per il passeggio, vengono in mente gli zuavi ritratti da Angelo Inganni. Dovessero accamparsi oggi, come fecero alla vigilia della battaglia di Solferino e San Martino, non troverebbero il terrapieno lambito dal Garza, ma i giardini di via dei Mille.
Se poi fossero vivi l’Inganni e la moglie Amanzia Guèrillot — eccoli al centro della tela, lui con il cilindro e lei con in mano il parasole — non troverebbero il caffè Belvedere del Vantini (demolito), né la fontana (ora in piazza Duomo).
E se continuassero a passeggiare, dopo pochi metri incontrerebbero la via Fratelli Bronzetti. Delle demolite mura veneziane si parlerà domani (ore 20) in Santa Giulia. E non solo. Si dirà del baluardo San Marco del Castello e del fossato riservato solo a chi gioca a tennis o del baluardo di Canton Mombello (del tutto snaturato nella zona superiore): due angoli di città non fruibili nel loro complesso.
In santa Giulia terrà banco l’argomento delle «Fortificazioni e siti Unesco in Lombardia». È il primo incontro sul tema, a cura dell’Istituto Italiano dei Castelli, e fa seguito ad altre 5 affollate conferenze tenutesi a Milano.Tutto ha avuto inizio dopo che Bergamo, con le sue mura, è divenuto sito dell’Unesco.
Due i relatori di domani sera. Prima Alessandro Brodini parlerà del sistema di fortezze della Serenissima nella Lombardia veneta del ’500. Verrà esaminato il sistema di fortificazioni sviluppatosi nell’area compresa tra i fiumi Mincio e Adda che già nel ’400 era entrata a far parte dei domini della Serenissima.
Si tratta di un vasto ed eterogeneo territorio, nell’ambito del quale Venezia deve necessariamente prevedere diverse tipologie difensive: dalla fortificazione delle grandi città di Brescia e Bergamo, alle fortezze lungo il fiume Oglio, che si fronteggiano con i presidi nemici collocati sulla riva opposta del fiume, come nel caso di Orzinuovi.
Dopo Brodini, Giusi Villari metterà in luce le possibili connessioni fra le fortificazioni della nostra città e il sistema dei siti Unesco. Bergamo è ora al centro dell’attenzione. Proprio come Brescia, sito Unesco per i pitoti camuni e per i Longobardi. Due secoli or sono, purtroppo, Brescia ha trovato chi ha autorizzato a distruggere le sue mura per le quali oggi potrebbe essere rinomata, ad esempio, quanto Lucca.
Una volta distrutte quelle ad occidente — unico ricordo il quadro di Angelo Inganni — il piccone ha incontrato la cinta muraria che le- gava Canton Mombello a Porta San Nazaro.
Giusi Villari, relatrice bresciana della serata, presidente della sezione Lombardia dell’Istituto dei Castelli, fa una considerazione: «La conoscenza della storia delle fortificazioni va coltivata e divulgata con costanti operazioni didattiche a vario livello e con linguaggi diversi. Sconsigliabile interrompere la filiera della conoscenza. I luoghi da tutelare non vanno “mummificati”, ma vanno studiate funzioni che rispettino le loro caratteristiche. Tutti devono essere messi in grado di leggerli e tutti devono potervi accedere agevolmente, anche chi è in condizione di disabilità».
Nei prossimi mesi seguiranno altre conferenze chiarificatrici e a maggio le Giornate Nazionali dei Castelli. Specialisti del settore descriveranno le caratteristiche e la storia di edifici e complessi difensivi, esamineranno i criteri che li hanno fatti riconoscere patrimonio dell’umanità. Vaglieranno i piani di gestione elaborati nei diversi siti. Così da evidenziare pregi (o criticità) solo per miglior tutela e valorizzazione dei beni.
Non sempre gli interventi sono stati improntati a questi criteri.
Spesso sono stati uno scempio di cui vergognarsi.
Il sacrificio La demolizione fu ispirata ai criteri igienico-sanitari della medicina dell’800
Il paragone L’impianto complessivo avrebbe potuto rivaleggiare con quello di Lucca