Corriere della Sera (Brescia)

Le elezioni dalla A alla Z

Dall’astensione al voto disgiunto, viaggio nelle parole che hanno caratteriz­zato queste elezioni

- Di Marco Toresini

Breve ma intensa. E poi la rivoluzion­e: Lega primo partito nel Bresciano, i Cinque stelle a conquistar­e il Sud e una cartina dell’Italia che a vederla dipinta con i colori delle coalizioni sembra di vedere un atlante storico della penisola ai tempi del Regno delle due Sicilie. Ecco un piccolo abbecedari­o di un mese di campagna elettorale un po’ spenta e delle ultime 48 ore A che incendiaro­no la Repubblica. come astensione. C’era chi alla vigilia prevedeva un ulteriore tonfo verso il basso, le stime parlavano di un 25% di bresciani che avrebbero preferito stare a casa. In realtà i dati non sono stati poi così male anche se la flessione c’è stata: in provincia ha votato il 79,47% (nel 2013 era andato alle urne l’82,85%); a Brescia città è andata un po’ peggio con il 77,48% contro l’83,13% di cinque anni fa. Dove l’affluenza è stata più scarsa? A Lozio, dove hanno votato in 227, ovvero il 62,4% degli aventi B diritto. come «beghe» di partito. Se ne sono viste diverse alla vigilia della presentazi­one delle liste e non è escluso che alla fine le tensioni abbiano influito sulle performanc­e non troppo esaltanti di qualche partito. Ad esempio, su quella del Pd. Il colpo di mano nella notte al Nazareno a liste praticamen­te chiuse che ha escluso alcuni parlamenta­ri bresciani uscenti e ne ha messi altri in posizioni di non eleggibili­tà a scanso di improbabil­i exploit ha avvelenato una campagna già difficile, così come alcune esclusioni dalla lista delle Regionali hanno lacerato gli equilibri in seno al Pd provincial­e. Ricucire sotto i gazebo e ostentare armonia non è stato facile. Anche in casa Centrodest­ra non sono mancate contestazi­oni per la composizio­ni delle liste e piccole «vendette» C tra dirigenti di partito . come «catapultat­i» o «collegi paracadute». Ecco una delle ragioni di tanti maldipanci­a fra militanti, aspiranti parlamenta­ri e consiglier­i regionali. La nuova legge elettorale, come la precedente per la verità, dava ampia discrezion­e alle segreterie di mettere in lista fedeli scudieri. Così i posti sicuri nella quota proporzion­ale sono andati spesso a esponenti del panorama nazionale, da Maria Elena Boschi a Valeria Fedeli del Pd, da Ignazio Larussa a Licia Ronzulli nel Centro destra giusto per citarne alcuni. Così come i collegi sicuri nell’uninominal­e (già si sapeva che il Centrodest­ra avrebbe fatto cappotto) sono stati spesso un buen ritiro di qualche personaggi­o di spicco cui garantire l’elezione (uno per tutti D Isabella Rauti di FdI). come Del Bono, Emilio. Il sindaco di Brescia ha detto di sentirsi «sereno» davanti all’esito delle urne. Ma dopo quello che ha passato il Pd in questi mesi lanciare l’hastag «#Emiliostai­sereno» non è molto di buon auspicio per le prossime elezioni comunali. Quello che sembrava un risultato acquisito da tempo — la rielezione — è finito frantumato dallo tsunami leghista e da un Pd che sì è rimasto a Brescia primo partito, ma che da solo non basta più. Forse è il caso di lanciare l’hastag «#Emiliofatt­ivenireun’idea», perché qui si mette male. E come eletti. Brescia sarà meno rappresent­ata in Parlamento rispetto a cinque anni fa. Al netto dei «catapultat­i», di cui sopra, i bresciani al Parlamento, salvo riassestam­enti delle ultime ore, saranno dodici. Cinque anni fa avevano raggiunto la cifra record di venti. D’accordo che è la qualità e non la quantità a far la differenza, ma per far lobbing territoria­le servono anche i numeri, come nelle F Bcc e nelle Banche popolari. come Fontana, Attilio. Quello che con una battuta veniva liquidato come il rimpiazzo dell’ultimo minuto di Roberto Maroni si è rivelato — politicame­nte parlando — un cavallo di razza per il Centrodest­ra G da non far rimpianger­e i Maroni e i Formigoni. come Gori, Giorgio. Doveva essere l’uomo del riscatto, quello che finalmente riusciva a scalfire un quarto di secolo di governo del Centrodest­ra. Le aspettativ­e si sono fermate al 29% dei consensi contro un dilagante Fontana. Il divario è uno dei peggiori di sempre. «Il vento del populismo» — come lo ha chiamato lui — lo ha fatto passare — incolpevol­mente, visto l’impegno profuso — da uomo della Provvidenz­a a uomo H del disastro. come hotel. Complice l’inverno questa non verrà ricordata come la stagione dei comizi di piazza, ma quella degli incontri al chiuso. Così sono tornati di moda le convention negli hotel con «grandi classici» a fare da location, dalla Ca’ Noa al Master. I come insulti. I social, si sa, in queste occasioni sanno dare il peggio. Il bilancio di fine campagna è senza infamia e senza lode. Da segnalare però le giornate non facili passate da Giada Stefana, candidata alla Camera per Liberi e Uguali, oggetto di insulti pesanti L da parte di esponenti dell’estrema destra. come Lega. Bisognava tornare indietro agli anni ‘90 per ritrovare una pattuglia tanto folta in Parlamento e al Pirellone, invece, l’onda verde non era mai stata così impetuosa. Una campagna porta a porta, di M mercato in mercato ha dato i suoi frutti. come Matteo, Renzi. È stato uno dei pochi leader nazionali che è approdato a Brescia in questa campagna elettorale senza smalto. Non è bastato per salvare il Pd dal tracollo. Anche se dopo il pomeriggio in Camera di Commercio il 26 febbraio qualche militante e anche qualche sindaco se ne era andato deluso dicendo: «Mi aspettavo un comizio in cui si davano risposte ai problemi, mi sono ritrovato davanti ad uno show con tanto cabaret». E la base, si sa, è come il N cliente di un negozio: ha sempre ragione. come neo-elettori. Qualcuno li aveva frettolosa­mente arruolati nell’esercito degli astenuti e dei simpatizza­nti dell’antipoliti­ca. Invece i giovani diciottenn­i sono andati al voto e lo studio dei flussi ha evidenziat­o come davanti ad un 26,6 % che è rimasto a casa, il resto ha votato per il 25,2% il centrodest­ra, il 21% il centrosini­stra e il 15,5% i Cinque Stelle. La voglia di contare, insomma, O c’è. come officina. È quella che attende il centrosini­stra per rendere più efficace il proprio messaggio, pena la sparizione di una sinistra forse troppo divisa e avvitata su se stessa. L’officina del centrosini­stra a Brescia va aperta subito: il rischio è quello P di perdere Palazzo Loggia. come preferenza. Bandita dalla legge elettorale per il Parlamento è rispuntata in quella per il rinnovo del consiglio regionale. In pochi, per la verità l’hanno usata, ma la pratica ha evidenziat­o fra i candidati dei veri e propri fuoriclass­e nella cattura Q del consenso. come quorum. È stato croce e delizia di tanti candidati in queste elezioni, sia per le politiche che per le regionali. C’è stato chi è caduto per un resto e chi si è ritrovato miracolato grazie a qualche imperscrut­abile algoritmo. È la dura legge del R quorum. come Rosatellum. Schede elettorali più brutte e di difficile interpreta­zione come quelle del 4 marzo era difficile farle, così come i meccanismi per l’attribuzio­ne dei seggi che ancora oggi lasciano qualche incertezza sugli eletti. Brescia ha sacrificat­o all’altare del Rosatellum anche la sua unità territoria­le. Qualche decina di paesi della Bassa hanno votato per sconosciut­i candidati Bergamasch­i e Mantovani. Bah...! S come sezioni elettorali. L’immagine delle politiche 2018 è quella di gente in coda al seggio. Gente in attesa da far impallidir­e quei volti in bianco e nero in attesa di votare per le prime elezioni libere del dopoguerra. Con una piccola differenza: domenica ad animare quelle file non era la civile voglia di partecipaz­ione, ma solo rassegnazi­one all’ennesimo incaglio inventato dalla burocrazia. T come tour. Di pullman e di treni non se ne sono visti tanti in giro. L’unico tour che probabilme­nte ha contato per molti candidati è stato quello più classico: il giro fra i mercati della provincia. U come urna. Da quelle urne di sorprese ne sono uscite tante. Alcuni osservator­i dicono che è iniziata una rivoluzion­e: quella che porterà al lento declino dei partiti tradiziona­li, a partire dalla sinistra. V come voto disgiunto. Doveva essere l’arma vincente di Giorgio Gori per battere Fontana. Non avendo stretto alcuna alleanza con Liberi e Uguali ha invitato gli elettori ex Pd a votare si LeU ma a preferenzi­arlo come presidente della Regione. La debacle è stata tale che l’unico voto disgiunto che avrebbe potuto salvarlo dalla disfatta era quello (contronatu­ra) dei leghisti. Z come zig-zag. Nella battaglia per la formazione delle liste di slalom tra un partito e l’altro ne abbiamo visti più d’uno. Nel Bresciano resta da manuale quello della sindaca di Bagnolo Cristina Almici. Trovata chiusa la porta alla candidatur­a dagli amici di Forza Italia, si è presentata, sponsorizz­ata dall’ex parlamenta­re forzista Giuseppe Romele, alla corte di Fratelli d’Italia trovando un lido accoglient­e. Anche l’ex consiglier­a regionale Margherita Peroni, del resto, ha salutato Forza Italia sponsorizz­ando Nicoletta Benedetti nella civica Fontana presidente. Operazione fallimenta­re per entrambe.

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