Corsini: «Il Centrosinistra adesso ritrovi l’unità»
La sconfitta cocente del Partito democratico e di Liberi e Uguali vista da un «padre nobile» di quell’area, senatore uscente
Il voto Un quadro devastante: il fatto è che non siamo in presenza di un ritardo, ma di una strutturale incapacità di capire i nuovi bisogni
Padre nobile della sinistra bresciana, 70 anni, due volte sindaco (tre contando il biennio a inizio anni novanta), poi deputato e senatore, Paolo Corsini questa volta non ha partecipato alla competizione elettorale. Scoraggiato dal Pd, da cui è uscito, non si iscritto a Liberi e Uguali, formazione politica che pure ha deciso di votare, senza però iscriversi.
Buongiorno professore, come sta dopo le elezioni?
«Come d’autunno sugli alberi le foglie diceva il poeta».
Capisco. Beh, almeno questa volta non era in prima fila...
«In effetti un po’ meno preoccupato, più tranquillo e molto curioso»
Un giudizio sul voto. «L’esito è una catastrofe, di proporzioni peggiori alle elezioni del 1948 se possibile». Addirittura...
«Sì, allora la sconfitta fu pesante, ma la sinistra disponeva di formazioni organizzate, di una prospettiva, di un retroterra ideologico, poi smentito dalle dure repliche della storia, ma oggi c’è solo il deserto e il quadro è devastante. Il Pd di Renzi subisce una sanzione perentoria, non l’unica peraltro. Dopo le vittorie delle Europee è stato un susseguirsi di sconfitte».
Anche Liberi e Uguali non è andata molto bene..
«L’ipotesi su cui è nata LeU,
L’impegno Quelli della mia generazione possono avere al più un ruolo di testimonianza. Spero che lo capisca anche Massimo D’Alema
l’idea di essere ancoraggio a sinistra in grado di intercettare i delusi o gli astensionisti di sinistra, si è rivelata infondata. Lo dicono anche le analisi dei flussi: questi potenziali elettori sono andati al Cinque Stelle, sono rimasti astensionisti. Qualcuno è pure andato alla Lega».
Leu lei l’ha votato però. «Io ho votato Gori e Leu ma riconosco di aver coltivato una prospettiva infondata»
La lettura che il Pd perde perché non è di sinistra si è rivelata non vera.
«Di sicuro è semplificatoria. Cos’è di sinistra oggi? C’è un riferimento valoriale che non può essere rimosso ma c’è un cedimento culturale oramai da troppo tempo. Il fatto è che non siamo in presenza di un ritardo, ma di una strutturale incapacità di capire i cambiamenti, i nuovi bisogni, il portato della globalizzazione. Si sono scelte scorciatoie illusorie ma il dato vero è che in questo momento la sinistra è senza insediamento sociale, radicamento territoriale, organizzazione».
Fuori dalle beghe nostrane, il problema dello stato comatoso del centrosinistra è europeo.
«Proprio così: è la fine della sinistra novecentesca per come l’abbiamo conosciuta. Il problema è di portata enorme. Renzi poi ci ha messo del suo, pensando che la forma partito adeguata fosse quella plebiscitaria e facendo selezione attraverso il criterio della fedeltà: una risposta ottocentesca ai problemi del ventunesimo secolo. Adesso si è inventato anche le dimissioni post-datate».
E adesso che dovrebbe fare la sinistra?
«Ricostruire un campo unitario. La storia dell’Italia repubblicana insegna che solo un’area ampia, unitaria e plurale riesce a essere competitiva».
E per persone come lei potrebbe esserci ancora un ruolo attivo?
«No, quelli della mia generazione possono avere al più un ruolo di testimonianza. Spero che lo capisca anche D’Alema».
Lei la farebbe l’alleanza con i Cinque Stelle?
«Non si può non dialogare con un partito che ha il 32%, ancor più se un pezzo importante dei suoi voti arrivano da sinistra. Altra cosa è il sostegno, che per me non può esserci. Questo non per ritorsioni emotive rispetto a quanto i Cinque Stelle hanno detto del Pd, ma perché un sostegno o un’alleanza sarebbero la fine del Pd e della sinistra».
Alleanza con la destra allora...
«L’idea che il Pd possa fare un’alleanza con Salvini non la voglio nemmeno immaginare per le conseguenze che avrebbe sull’elettorato».
Se il Pd resta fuori non restano molte opzioni per fare un governo.
«Magari il centrodestra e il Cinque Stelle trovano modalità di accordo, anche se la vedo dura conciliare il reddito di cittadinanza con la flat tax».
E quindi?
«So che il paese deve avere un governo, ho fiducia nella saggezza di Mattarella, ma quando c’è uno stallo dove nessuno è completamente vincitore, l’unica strada sia un governo di scopo che mette mano a una legge elettorale che vediamo oggi quanto sia oscena, fa la manovra e la legge di bilancio e poi riporta tutti alle urne».
Magari il centrodestra riesce a convincere un po’ di deputati e senatori. Di responsabili se ne trovano sempre...
«Il trasformismo è un male della politica italiana, ma questa volta i numeri sono macigni. Magari venti senatori li trova anche, ma alla Camera ne mancano sessanta per avere una maggioranza risicata. La vedo dura».
Uno sguardo alle amministrative: Emilio Del Bono deve preoccuparsi?
«Trovo Emilio Del Bono avveduto e avvertito. Bene fa a stare al riparo dalle questioni politiche di partito e bene fa a presentarsi come sindaco della città. Porta in dote i risultati della sua Amministrazione ed è questa, per me, la linea che deve continuare a tenere».