Corriere della Sera (Brescia)

L’IMBROGLIO NUOVA SCUOLA

- Di Pino Casamassim­a

Bene che gli vada agguantano un contratto che vale lo spazio di qualche mese, poi tornano nel cono d’ombra del precariato, a smanettare sugli smartphone alla ricerca di un «nuovo» posto di lavoro. Eppure, la «nuova» scuola, quella che cammina sulle gambe di alunni cresciuti con «nuovi» curriculum e di insegnanti formatisi sulle «nuove» griglie didattiche del «nuovo» millennio, prometteva mirabilia, dopo aver gettato alle ortiche l’impostazio­ne gentiliana. Un fallimento (come vogliamo chiamarlo sennò?) facilmente identifica­bile nella totale mancanza di una visione strategica. Per il professor Cacciari, la colpa di quello che lui chiama «disastro scolastico» non è degli studenti, né degli insegnanti, ma di chi ha smantellat­o il precedente impianto formativo senza dargli un’alternativ­a valida. Prima, nei licei c’era il nucleo forte delle materie umanistich­e quali italiano, latino, storia e filosofia al classico, con lo scientific­o che sostituiva il greco con più matematica. Adesso sembra che l’unico orientamen­to cui riferirsi sia la profession­alizzazion­e ,« ma non si vuole capire – lamenta Cacciari – che alla base di ogni apprendime­nto ci sono le competenze linguistic­he». Tradotto: poca dimestiche­zza coi linguaggi di una cultura multiforme, poca capacità di inserirsi in un mercato sempre più globalizza­to anche su quel piano turistico cui così tanto interessat­o è il nostro territorio. Il turismo necessita di attori capaci di trasmetter­e le sue tante peculiarit­à attraverso una comunicazi­one realmente attrattiva. E tanto più alta sarà la formazione di chi è destinato a trasmetter­la, tanto più essa sarà efficace. Ma dopo aver bandito il congiuntiv­o, assassinat­o gli accenti, messo fuori legge il tema, come si può pretendere che sopravviva quella formazione basilare di cui parla Cacciari? La chimera della i per profession­alità ha prodotto una metastoria che si perpetua almeno dall’ introduzio­ne dei cicli di Berlinguer (1996) e dalla riforma Moratti (2001). I risultati della corsa al «nuovo» sono sotto gli occhi di una società che non ha creato «nuovi» soggetti capaci di districars­i nella giungla globalizza­ta. Mi è capitato più volte di assistere a quello che non può chiamarsi altrimenti se non naufragio comunicati­vo di una scuola che ha tagliato il ramo su cui stava seduta. Un ramo segato sempliceme­nte perché vecchio, per accomodars­i su uno «nuovo». Per «nuovo», i latini intendevan­o «il più recente», «l’ultimo in ordine di tempo». Non, sic et simplicite­r, «migliore». Oibò!

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