Raciti, geografie dell’anima in cui trapela il «Senso dell’Oltre»
Nel suo studio zeppo di carte fino al soffitto, ricavato in un’ ala di villa Ada a Ponte Lambro, dipinge senza forma, con un gesto anarchico che imbeve di colore tele grandi come un monolocale. L’ultimo dei romantici (la definizione è sua) è sempre stato «un avvocato che scherzava con la pittura ma poi abbiamo capito che faceva terribilmente sul serio» (cit Fabrizio Dentice sull’Espresso). Spazi attraversati dalla luce, crampi della mano, ombre, colori molto casti, una voragine di vuoto che fagocita la superficie e una pittura intrisa di silenzio e malinconia da cui affiorano recondite alchimie: le opere storiche e inedite di Mario Raciti e il suo «Senso dell’Oltre» sono in mostra alla galleria Colossi, Chiari (la vernice domani alle 17.30). Una personale che «è una immagine potente del mondo di Raciti nel quale la fascinazione ai grandi interrogativi esistenziali, declinata in valori assoluti, costruisce un ritratto dell’Uomo con i suoi sogni, i dubbi, i ricordi e l’ansia di salvezza». Una laurea in legge per non contraddire il padre, l’ossessione per la musica e l’eterno rimpianto di non aver frequentato Brera, Raciti ha sempre dipinto senza compromessi e senza flirtare con il figurativo, nonostante qualche lusinga. Le sue sono geografie dell’anima: viaggi poetici nella mente, avulsi dal nichilismo ma non privi di inquietudine. Immagini frammentate e oniriche, cariche di un senso di indefinito e di indefinibile. Raciti guarda dentro di sé e trova visioni, sirene, presenzeassenze e misteri fatti di vapori grigi, bianchi, neri, rosa, verdi: tutti colori appena accennati, sussurrati, suggeriti.