Villa Mazzucchelli strega Giordana e la Capotondi
Villa Mazzucchelli ha fatto da sfondo al film di Giordana «Nome di donna» Il regista lo presenta stasera al Sociale
Villa Mazzucchelli, a Ciliverghe, ha fatto da sfondo a «Nome di donna», l’ultimo film di Marco Tullio Giordana con Cristiana Capotondi: il regista, stasera al cinema Sociale, lo racconta in un’intervista.
Augusta dimora con parco, residenza settecentesca, polo museale e scenario per feste e cerimonie, shooting fotografici e meeting aziendali, ma anche teatro di molestie sessuali. Altolà, meglio precisare subito. Villa Mazzucchelli di Ciliverghe, splendido complesso monumentale del nostro territorio, è stata scelta come una delle location dell’ultimo film «su commissione» di Marco Tullio Giordana, «Nome di donna». E nella finzione cinematografica, si sa, la fantasia si concede qualche licenza di tempo e anche di luogo. Il film è uscito giovedì scorso nelle sale della penisola. Questa sera, alle 21, il regista presenzierà alla proiezione al cinema Sociale.
Sul grande schermo Villa Mazzucchelli è la sede della Residenza per anziani Baratta, gerontocomio di lusso («Il benessere non ha età», recita il claim con cialtronesca ruffianeria). Siamo in un angolo lombardo non meglio precisato. Qui approda Nina Martini (Cristiana Capotondi), ragazza madre con figlia a carico in cerca disperata di lavoro. Tramite raccomandazione del parroco, la giovane donna viene assunta come inserviente nella clinica. Il suo zelo viene apprezzato, ma la serenità quotidiana si infrange poco dopo contro le avance del direttore della struttura, il dottor Torri (Valerio Binasco), che usa il suo potere per ottenere prestazioni carnali obtorto collo. Laide e subdole aggressioni che costituiscono una regola ormai accettata in silenzio dal personale femminile della clinica: «Ai miei tempi si chiamavano complimenti!«, commenta l’amabile e sarcastica Adriana Asti, una delle ospiti, che fa il verso ironico a se stessa, l’attrice sul viale del tramonto: sul comodino le fotografie di San Giorgio (Strehler), San Luca (Ronconi) e San Luchino (Visconti) e un sogno ancora nel cassetto (la chiamata di Colin Firth).
Fatto sta che Nina si ribella e decide di sporgere denuncia, facendo ovviamente i conti con l’omertà delle colleghe, i ricatti e l’arroganza del sistema amministrativo. Con l’aiuto di un avvocato agguerrito, avrà giustizia.
«Non sono un femministo — sottolinea Giordana, che è ritornare a girare nella nostra provincia dopo «Quando sei nato non puoi più nasconderti» —. Non abbiamo sfruttato la scia dello scandalo Weinstein e del movimento Me Too, perché, con la sceneggiatrice Cristiana Mainardi siamo all’opera da tre anni. Non è un film di denuncia, l’ultima cosa al mondo che m’importa è fare il moralista. Il film indaga più che sul fatto, sul sasso lanciato nello stagno, sulle conseguenze che ne derivano, sui cerchi che si allargano fino a lambire sponde anche molto lontane. Una di queste è l’ostilità che immediatamente avvolge la vittima, la solitudine in cui si trova chi non intende sottostare. Il predatore gode, non solo in Italia, di una sorta d’impunità culturale». Emblematico a questo proposito il finale, in cui il verdetto del tribunale risulta essere una vittoria di Pirro, proprio nella misura in cui il costume e l’antropologia non cambiano. Vedasi come viene apprezzato e incentivato il lavoro della telecronista.
«Nome di donna» non maschera il suo impegno civile da pamphlet, ma evita la palude della retorica sempre in agguato.
Solitudine Non sono un femministo: questo non è un film di denuncia, l’ultima cosa che m’importa è fare il moralista. Mi interessa la solitudine della vittima