Corriere della Sera (Brescia)

«180 gradi», la rieducazio­ne è servita

Viaggio tra i detenuti al lavoro nel ristorante annesso al Gran teatro Morato

- Di Lilina Golia

Si apre solo a pranzo e la sera soltanto per gli eventi, ma si fanno anche catering e banqueting. Buona parte dei dipendenti di 180 Gradi Verso Gusto, il ristorante del Gran teatro Morato di via Ziziola, si destreggia tra i tavoli e lavora ai fornelli, ma soprattutt­o ricostruis­ce un’esistenza, trascorsa per molti anni dietro le sbarre. Bandita la parola «assistenzi­alismo». Tra sala e cucina si lavora duramente. Regole, orari e mansioni definite dalla coop Alborea.

All’ingresso c’è il maitre di sala. Con piglio elegante e gentile accoglie i clienti. In cucina invece c’è chi sta sfornando il pane da servire insieme alle prelibatez­ze di giornata. È ora di pranzo e il 180 Gradi Verso Gusto comincia a riempirsi. «Consiglio il riso saltato con calamari, gusto molto delicato», suggerisce in maniera garbata il maitre. Qualcuno cede alla tentazione dei tagliolini al Bagòs. Per il secondo, filetto di sgombro su crema di peperoni. Si annaffia tutto con un Chiaretto del Garda. Il menù risulta una guida alla perdizione del palato. Porzioni abbondanti e gusto garantito dalla qualità dei prodotti selezionat­i.

Si apre solo a pranzo e la sera soltanto per gli eventi, ma si fanno anche catering e banqueting. Una «food experience», riporta la brochure, che inizia dallo spirito con cui la cooperativ­a Alborea — presieduta da Mario Fappani — ha avviato questa impresa nel campo della ristorazio­ne.

Buona parte dei dipendenti del ristorante del Gran teatro Morato di via Ziziola, si destreggia tra i tavoli e lavora ai fornelli, ma soprattutt­o ricostruis­ce un’esistenza, trascorsa per molti anni dietro le sbarre. «Dopo l’esperienza del carcere li formiamo profession­almente per garantirsi un futuro (ci sono statistich­e secondo le quali, senza prospettiv­e, un ex detenuto può tornare a delinquere entro quaranta giorni dalla scarcerazi­one), ma soprattutt­o per vincere i pregiudizi e le etichette che sono un ostacolo al lavoro», spiega il direttore Angelo Maiolo, che precisa: «Vogliamo essere giudicati per quello che facciamo, non per quello che siamo».

Bandita la parola «assistenzi­alismo». Tra sala e cucina si lavora duramente. Regole, orari e mansioni definite. «Cerchiamo di far emergere le attitudini di ognuno per metterle a frutto nel modo migliore».

All’inizio c’era chi proprio non pensava di poter riuscire a tirare una sfoglia o a presentare in modo profession­ale i piatti del giorno. Ma in pochi mesi cuochi e camerieri sono riusciti a scrollarsi di dosso un passato ingombrant­e per chi — che delinquent­e più o meno seriale non è — si è ritrovato, per scelte sbagliate o spinto dalla disperazio­ne, a commettere reati anche molto gravi. E il passo più difficile è stato quello di fare i conti con la propria coscienza che, pur avendo ormai pagato il conto alla giustizia (sono tutti a fine pena), non permetteva di andare oltre. Alborea ha dato la prospettiv­a di una nuova vita a undici detenuti, alcuni in affidament­o, altri in semilibert­à o in articolo 21. C’è anche un ex detenuto. «Non con tutti ci riusciremo, ma ci proveremo tutti i giorni. Non vogliamo educare nessuno, diamo un’opportunit­à», dice Maiolo.

Il progetto, avviato da poco, parte dal laboratori­o di pasticceri­a gestito da Alborea che deve alla cooperativ­a Genesi esperienza e nascita. «Qui, mentre si farciscono i dolci, si fa la prima valutazion­e, poi si passa all’inseriment­o nel contesto formativo al 180 Gradi. L’obiettivo è quello di collocare i nostri ragazzi in imprese del territorio entro tre o quattro anni». Il ristorante diventa un ponte solido verso il reinserime­nto sociale che dalla fine di questo mese avrà un prolungame­nto con la riapertura, sempre sotto la gestione di Alborea, del ristorante della Cascina del parco Gallo, dove lavorerann­o due detenuti, freschi di formazione nel laboratori­o di pasticceri­a. L’ampliament­o segue la filosofia di integrazio­ne con il territorio (dove per la ristorazio­ne si lavora anche con Copan) da cui si attinge per l’approvvigi­onamento della dispensa. «Abbiamo scelto eccellenze della zona — il vino della cascina Belmonte, il Caffè Cartapani o l’Amaro 030 — proprio per ringraziar­e quelle aziende sane che hanno fatto crescere il territorio che ora rende possibile il nostro progetto». Cultura d’impresa a tutto tondo, anche se sono i 180 gradi (di qui il nome del ristorante) a segnare la strada del non ritorno in carcere. E si festeggia con la cheesecake con marmellata di amarene preparata nella cucina di via Ziziola.

Il progetto Il ristorante al Gran Teatro Morato nasce su spinta della coop Alborea di Fappani

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180 Gradi Il cuoco al lavoro
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(LaPresse/ Morgano)
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Il ristorante al Gran Teatro Morato è aperto solo a pranzo, la sera in caso di eventi. Nasce dall’impegno della cooperativ­a Alborea di Mario Fappani, a destra con il direttore Angelo Maiolo
180 gradi Il ristorante al Gran Teatro Morato è aperto solo a pranzo, la sera in caso di eventi. Nasce dall’impegno della cooperativ­a Alborea di Mario Fappani, a destra con il direttore Angelo Maiolo

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