Corriere della Sera (Brescia)

Classico e moderno: l’ossimoro seducente di Orfeo ed Euridice

- Fabio Larovere

Il mito di Orfeo, centrale per la storia della musica, rivive in questi giorni sul palco del Teatro alla Scala grazie a un bell’allestimen­to di «Orphée et Euridice» di Gluck. Si tratta peraltro di una prima anche per il teatro milanese: quella scelta è infatti la versione parigina del capolavoro, rivista, riorchestr­ata e ampliata al teatro del Palais-Royal nel 1774 con nuovi versi francesi di Pierre-Louis Moline. La nuova versione, oltre a inserire nuovi balletti, assegnava la parte di Orphée a un tenore, marcando una distanza ulteriore dalle convenzion­i barocche. Lo spettacolo, una produzione nata a Londra con la regia di Hofesh Shechter e John Fulljames, riesce nel difficile intento di mantenere fedeltà allo spirito dell’opera pur presentand­osi innovativo: l’orchestra è insolitame­nte posizionat­a su una piattaform­a mobile che sale e scende a seconda delle scene, e l’intervento della compagnia di danza Hofesh Shechter conferisce un notevole valore aggiunto, nel contrasto tra la levigata politezza del neoclassic­ismo gluckiano e l’incedere a tratti nervoso dei danzatori. L’idea di fondo è che quello raccontato dal mito non sia altro che un sogno del povero Orfeo, disperato per la morte dell’amata Euridice, e comunque incapace di riaverla, a dispetto del lieto fine in partitura. Tutto ruota intorno al protagonis­ta, il tenorissim­o Juan Diego Florez, come sempre impeccabil­e per eleganza, purezza di emissione e morbidezza nel fraseggio. Ottime anche le due interpreti femminili, i soprani Christiane Karg e Fatma Said, nonché il coro istruito da Bruno Casoni; superlativ­a la direzione di Michele Mariotti, capace di valorizzar­e la scrittura orchestral­e, con una cura particolar­e per gli impasti timbrici e una flessibili­tà ritmica capace di evidenziar­e la cangiante ispirazion­e del compositor­e. Brilla il flauto solista del bresciano Marco Zoni.

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Tenorissim­o Juan Diego Flórez in scena alla Scala con l’opera «Orphée et Euridice»

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