Incinta, spinta a prostituirsi
Non importa se la creatura che porta in grembo iniziava a farsi spazio. «Se non mi dai almeno settecento euro ogni settimana sarai costretta a digiunare». Nessuna pietà, sulla strada. Obbligata a prostituirsi per saldare quel debito contratto per tornare a vivere: 40 mila euro. Tanti quanti ne sarebbero serviti per raggiungere l’Italia via Libia dalla Nigeria. E guai sgarrare, quando di trattava di soldi: «se non mi dai almeno settecento euro alla settimana non mangi, digiuni», le giurava la sua madame. Richiedente asilo, in piena gravidanza, anche grazie al preziosissimo sostegno di un’amica ha trovato il coraggio di ribellarsi all’ennesima violenza, chiedere rifugio in una struttura protetta e sporgere denuncia in questura. Un grido d’aiuto che non è rimasto inascoltato e ha innescato le indagini. Fino a quando su disposizione del gip Alessandra Sabatucci (e richiesta del pm Cati Bressanelli) in manette è finita una donna nigeriana di 37 anni che risponde di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.
«Mi hanno reclutato in Nigeria con la promessa di una vita migliore» ha raccontato la ragazza sfruttata e obbligata a dare sesso in cambio di soldi sui marciapiedi di Faverzano, nella Bassa bresciana. Poi i riti magici e i ricatti. «Mi hanno costretta a rimborsare 40 mila euro: era il prezzo per il mio trasferimento in Italia, dicevano». Lei, alla sua madame, ne aveva già dati tredicimila. Prima tappa la Libia, «dove ho subito le prime violenze prima di essere imbarcata» senza alcun diritto di replica, tantomeno di sottrarsene. Poi l’approdo in Sicilia e il trasferimento in un centro per richiedenti asilo a Varese: «Ma da lì (con un’amica non ancora identificata) mi sono allontanata per raggiungere la mia madame in provincia di Brescia, così come mi era stato imposto alla mia partenza».
In città le prime istruzioni. Base logistica un paio di appartamenti, prima al villaggio Sereno, poi in via Zara, per il cambio d’abiti (succinti), i tacchi (altissimi) e il trucco (marcato), poi il trasferimento a Faverzano dove la giovane vittima — e pure l’amica — venivano costrette a prostituirsi sulla statale. E se ognuna di loro non versava alla sfruttatrice, connazionale, almeno settecento euro alla settimana, per punizione c’era il digiuno. Non erano certo le uniche.
Quando la polizia ha deciso di andare a prendere la metresse per arrestarla, l’ha trovata in una casa alla periferia di Bagnolo Mella — probabilmente la base operativa dell’organizzazione criminale che gestiva un giro di prostituzione con giovanissime africane in gran parte della Bassa — in compagnia di un’altra ragazza, richiedente asilo e nigeriana come lei. Presumibilmente un’altra vittima. All’operazione e alle indagini hanno lavorato anche gli agenti di polizia locale di Bagnolo Mella. E gli accertamenti sono ancora in corso.