«Così va tutto in discarica ma ci sono alternative»
Ci sono tecniche di trattamento dei terreni inquinati che se sperimentate eviterebbero di «spostare» migliaia di tonnellate di zolle inquinate in discarica. Una di queste tecniche era stata proposta alla Loggia dalla Biosearch Ambiente di Torino, società che ha risolto il problema del cromo esavalente all’ex Forzanini di Chiesanuova. «Avevamo proposto al Comune un bio-soil washing, un lavaggio del terreno in situ — spiega l’amministratore Roberto Ricci —. I primi risultati di laboratorio certificati dall’università di Napoli ci hanno dato l’abbattimento del 60% dei metalli pesanti e del 70% dei Pcb, compreso il congenere più ostico, il 209. Avevamo già fatto anche un sopralluogo in un parco cittadino». Ma complice un apparato legislativo bizantino, per non correre rischi sui tempi e sulla certezza di avere bonifiche «certificate» la Loggia è andata sul sicuro, scegliendo fino ad oggi la via dello scorticamento del primo mezzo metro di terreno. «Una tecnica che può andar bene per piccoli appezzamenti, come i giardini di una scuola — prosegue Ricci — ma non sui terreni agricoli o grandi parchi. Portare tutto in discarica quando ci sono tecnologie in grado di evitarlo, e che costano la metà, è una pratica medioevale». Certo, anche il suo trattamento avrebbe dato dei fanghi inquinanti di risulta: «ma con volumi di oltre cento volte inferiori alla tecnica dello scorticamento». Il sindaco Del Bono cinque anni fa aveva promesso di fare di Brescia un laboratorio sperimentale delle migliori tecniche di bonifica. Un’opportunità ad oggi non colta ma che sarebbe ancora valida per Ricci: «Si possono testare tecniche innovative proposte da varie società (il Corriere ha già scritto dei funghi mangia-pcb della bergamasca General Environment di Paolo Maggioni, ndr). Un valido comitato scientifico dovrebbe poi premiare quella più efficace». Una sfida che è ancora valida sui 100 ettari di campi in via Rose: «abbassando il livello di inquinanti si possono poi sviluppare interessanti filiere no-food, dalla canapa al bambù, rimettendo a reddito quei campi, sviluppando ricerca e know how, creando lavoro e facendo di Brescia un caso-scuola europeo». (p.g.)