La città deve molto a quel fantastico polittico
La mostra «Tiziano e la pittura del Cinquecento tra Venezia e Brescia», ideata da Francesco Frangi ruota attorno a due assenze: una veniale, del polittico Averoldi, pur sviscerato in un teatro di quintevideo che immergono nei pannelli, ma imperdibile a pochi passi in città, in San Nazaro dove arrivò nel 1522; l’altra, irrimediabile, delle grandi tele che Tiziano realizzò per il soffitto della Loggia, bruciate nell’incendio del gennaio 1575 che divorò il tetto. È una sfida, dunque, costruita attorno a pochi autografi del maestro, sulla penetrazione del tizianismo in terraferma lombarda (ecco allora anche i bergamaschi lagunari Palma il Vecchio, Cariani, Licinio) e sulla straordinaria specificità italiana, della periferia che acquista centralità assoluta. Non solo perché museo diffuso che dilaga in chiese e palazzi, ma perché va dritta al nodo di ineludibili questioni, come il ruolo giocato dai modelli di maestri veneziani quali Bellini, Giorgione e soprattutto Tiziano nella formazione ed evoluzione dei protagonisti della nostra pittura del ‘500, sicché poi si poté parlare di specifica scuola bresciana nella fusione tra naturalismo lombardo e colorismo veneziano. In fondo la mostra si lega a quelle in S. Giulia del Savoldo nel 1990 e del Polittico stesso restaurato nel 1991.
Brescia deve molto a Tiziano. Nel 1522 fu sconvolgente col Polittico sull’altar maggiore di San Nazaro, con al centro il Cristo risorto, nei comparti laterali alti l’Angelo Michele e l’Annunciata, in quelli bassi i santi Nazaro e Celso col donatore Altobello Averoldi e il san Sebastiano. La Resurrezione come trionfo del Cristo con un senso grandioso delle cose umane, i santi fulgidi come divinità pagane, il riscatto della forma antica con l’anima redenta, il dramma della luce trasfigurante che frantuma tenebre e nubi. Un Tiziano radioso, che spande energia di persuasione tangibile attraverso il formidabile atletismo coloristico. E un grande stendardo di riscossa della Chiesa di Roma, nella città martoriata dal Sacco del 1512 e sfiorata da venti luterani che soffiavano giù per le valli.
Un’opera di impianto arcaico nei comparti, ma dirompente nella spettacolare fusione tra terra e cielo, tra sacro e feriale, che i migliori pittori bresciani — Romanino, Moretto e Savoldo già attivo a Venezia, e che ha in mostra
Soluzione tecnologica Un video e un’installazione suppliscono ai due grandi assenti
grande spolvero — seppero subito cogliere, specie nell’esperienza della luce.
La nuova rappresentazione del potere alla veneziana impose che per la Loggia fossero consultati grandi architetti veneti, da Sansovino a Palladio e nel 1564 il vecchio Tiziano fosse coinvolto nella grande impresa delle apoteosi allegoriche per il salone: l’Industria delle Armi, nota da un’incisione del Cort; la Feracità fluviale e agreste; l’Apoteosi di Brescia, tra gli illusionismi prospettici dei quadraturisti Cristoforo e Stefano Rosa. Il fuoco del 1575 bruciò tutto: per dare un’idea di come potesse essere, un video è dedicato al coevo apparato della Biblioteca Marciana di Venezia, con la Sapienza di Tiziano tra le prospettive dei Rosa.