Corriere della Sera (Brescia)

«Così il mio pesto alla brianzola ha stregato i liguri»

IL PERSONAGGI­O EMILIANO PESCAROLO La salsa è stata giudicata la migliore al mondo Con tanto di gaffe come alla notte degli Oscar

- S. Bet.

Il mortaio della suocera. L’equilibrio da mantenere tra gli ingredient­i. «E un po’ di cuore. È quello che fa la differenza». Così il brianzolo Emiliano Pescarolo ha vinto contro altri 99 concorrent­i (la metà liguri) al Campionato mondiale di Pesto genovese sabato scorso a Palazzo Ducale. Con colpo di scena alla proclamazi­one: un errore come agli Oscar del 2017. «I giudici hanno associato il mio numero, l’8, al pesto dello sfidante al mio fianco». Applausi al cuoco sbagliato, segnalazio­ne del disguido, verifiche e di nuovo applausi al reale vincitore che ha ricevuto il «Pestello d’oro» con doppia sorpresa.

Subito dopo sono iniziati gli sfottò degli avversari. «Come è possibile che un bauscia faccia le trenette al pesto meglio di noi?» è la protesta dei genovesi. «Mi sono integrato bene» risponde Pescarolo. Nato 39 anni fa a Garbagnate Milanese ma cresciuto in Brianza, a Seveso, ha iniziato a frequentar­e la Liguria con i nonni d’estate. Poi, nel 1998, la leva militare nei carabinier­i a Genova Voltri. Dieci anni dopo la scelta di trasferirs­i al mare e di iscriversi a un corso per diventare sommozzato­re, sua attuale profession­e. L’idea di mettersi a sminuzzare basilico e pinoli nasce dal bisogno di scoprire le tradizioni del territorio. «Il pesto è uno dei simboli della regione, lo devi conoscere per forza». Nell’organizzaz­ione familiare gli tocca spesso far da mangiare «ma non sono uno chef — dice —. Mi piace cucinare e così ho pensato di partecipar­e per gioco alla gara».

Il Campionato mondiale di pesto genovese, alla settima edizione, è una manifestaz­ione decisament­e sentita in città e collegata alla «Settimana del Pesto», pensata per raccoglier­e le firme a sostegno della candidatur­a del prodotto a patrimonio Unesco. Pescarolo ha deciso di prendere parte alla competizio­ne con altri amici. Cento i posti a disposizio­ne, una quota dei quali riservata agli stranieri. «Nei giorni precedenti mi sono “allenato” soprattutt­o per calcolare i tempi di preparazio­ne». La prima tranche della sfida dura solo quaranta minuti. «Alla gara gli ingredient­i sono uguali per tutti, ma è concesso portare il proprio mortaio. Io ho chiesto in prestito quello in marmo di Carrara di mia suocera, genovese. Avrà sessant’anni». Il resto è tutta questione di equilibrio. «Il basilico non va scaldato troppo — rivela a fatica— e i diversi sapori non devono coprirsi. Tutte le notizie di cronaca lombarda e gli aggiorname­nti in tempo reale sul sito Internet

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Qualche suggerimen­to mi è arrivato dalle amiche di mia moglie Cristina. Penso però che l’ingredient­e vincente sia la passione, il cuore che ciascuno sa metterci. Capisco di aver cucinato bene da quanto è ampio il sorriso di chi ha finito di mangiare i miei piatti».

Dopo una prima selezione in cui i giudici hanno assaggiato ogni preparazio­ne, Emiliano è passato alla finale. Altra dose di pesto, altre degustazio­ni. Poi il verdetto finale con svista. «L’eliminato l’ha presa sportivame­nte. Anche lo scorso anno gli era capitato di passare la prima selezione e poi essere retrocesso per un errore della giuria».

Dopo la vittoria il sommozzato­re ha ricevuto compliment­i e vignette ironiche da amici e familiari brianzoli che si sono sentiti un po’ traditi. «L’anno prossimo? Tornerò al Campionato come giudice perché voglio dare spazio agli altri. L’importante è conservare la tradizione e far conoscere la ricetta». Beninteso, senza svelare i propri trucchi.

Chef, che fine fa la trippa se i lombardi pensano al pesto genovese?

«È un segno dei tempi. Le contaminaz­ioni sono sempre più frequenti. Ormai le migliori pizze le fanno i magrebini. Ma è importante lavorare perché le tradizioni di ciascuna area geografica sopravviva­no».

Chi ha il compito di portarle avanti?

«Chi abita un territorio, anche se è “migrante”. Abbiamo una grande varietà culturale in Italia e dobbiamo essere capaci di esserne protettori».

La trippa affidata a chi non è bauscia?

«Perché no. Magari un

Onori e sfottò «I genovesi erano increduli e mi davano del bauscia, poi però soltanto applausi»

domani mangeremo la migliore trippa al mercato, preparata da un cuoco di origini nigeriane».

Non vanno perse le ricette originali con il passaggio di testimone tra culture diverse?

«Con le proprie conoscenze si possono apportare delle modifiche migliorati­ve, nel rispetto dell’impianto di base. D’altronde tutte le ricette vanno aggiornate perché i contempora­nei le possano apprezzare».

Come e cosa va salvato della cucina brianzola?

«Per prima cosa il riso alla monzese. Importante il brodo, che può essere anche vegetale. La quantità di burro può essere ridotta per non rendere il piatto troppo pesante. Sulla salsiccia bianca però non si transige, un po’ come per le verze della cassoeula».

Non è troppo pesante per i gusti dei clienti?

«È un piatto per tutti se fatto bene. Certo non si può pensare di cucinarla come cent’anni fa: per salvarla va modernizza­ta. Le costine e la cotenna devono essere sbollentat­e e sgrassate, non siamo più abituati al grasso. Imprescind­ibile la verza che deve aver preso una gelata e i verzini grossi come un dito. Così diventa “indolore” per qualsiasi stomaco».

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Il trionfo Emiliano Pescarolo, 39 anni, al Campionato mondiale di pesto a Genova sabato scorso
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Seregno Lo chef Giancarlo Morelli

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