Palazzo Tosio Onger: «Vedrete cose strepitose»
Anche quest’anno sarà il Fai a condurre appassionati e curiosi, domani e domenica, alla scoperta di alcuni dei luoghi-tesoro di città e provincia. Fiore all’occhiello la riapertura di palazzo Tosio in città, insieme al Martes, museo d’arte Sorlini di Calvagese. Onger assicura: «A palazzo Tosio cose strepitose».
Divani di velluto, salottini rossi, boudoir, aquile d’oro poggiate sulla testa di Eleonora d’Este e agavi nel giardino: il conte decise persino le tende.
Palazzo Tosio riapre al culto dei visitatori dopo un maquillage da 450 mila euro: durante le Giornate di primavera, il Fai e il suo esercito della bellezza mostreranno al pubblico ogni sala affrescata, scultura, dipinto. «Aspettavo questo momento dal giorno in cui sono diventato presidente dell’Ateneo, quattro anni e mezzo fa. Confesso che è un’emozione» dice Sergio Onger.
Presidente, molti capolavori collezionati dal conte sono tornati in Pinacoteca: come avete allestito l’appartamento?
«Valerio Terraroli, con Roberta D’Adda (storica dell’arte di Brescia Musei, ndr) ha avuto un ruolo fondamentale: abbiamo riportato a palazzo i Picasso del conte Tosio, 80 opere sue contemporanee. Ci sono pezzi strepitosi: sculture degli allievi di Canova, paesaggi
di D’Azeglio, il Newton di Pallagi... In alcuni casi, le opere sono state poste nello stesso identico punto in cui le aveva messe Tosio: grazie a un registro del 1850, forse scritto dal primo custode del museo, sappiamo dove fossero i dipinti, parete per parete. L’unica cosa che non sappiamo è di che colore fossero le tende».
Avete scoperto qualcosa durante il restauro?
«Nei magazzini, abbiamo trovato l’aquila lignea dorata che Tosio aveva messo sopra la testa del busto di Eleonora d’Este, ora in Pinacoteca: reggeva il bastone del tendaggio dietro la scultura. Nella sala bruciata all’inizio del Novecento, poi ritinteggiata, siamo riusciti a far riemergere una zoccolatura dipinta in finto porfido imperiale e il bellissimo verde malatite delle pareti su cui erano incastonati i tondi di Thorvaldsen che può vedere in Pinacoteca».
Qual era la stanza preferita del conte?
«Teneva moltissimo alla galleria delle incisioni. Durante il restauro, abbiamo trovato tracce delle scritte a carboncino dello stesso Tosio e di Rodolfo Vantini: ragionavano su dove metterle le incisioni. Dal momento che non possiamo esporre le incisioni per problemi di conservazione, abbiamo deciso di restaurarle come fossero strati arche0logici».
Tutto, in quella casa-museo, era un’opera d’arte.
«Tutto era pensato per essere vissuto. Per questo, escluse quelle originali, abbiamo arricchito le basi delle sculture nel gusto del conte, come sarebbe piaciuto a lui, in pendant con le opere».
Avete recuperato i tetti, gli impianti di sicurezza, il piano nobile: cosa manca?
«Il piano terra e l’ala Est, dove c’era Raffaello: se riuscissimo a sistemarla, potremmo metterci le opere dell’Ateneo».