L’esistenzialismo di Murubutu, l’uomo che «rappa» nel vento
Esponente di quello che potrebbe essere definito il mondo del rap letterario, Murubutu torna a Brescia sabato , supportato da La Kattiveria Crew, ospite del palco del Csa Magazzino 47 (apertura alle 22, ingresso 8 euro con sottoscrizione). Risale al 2016 l’ultimo album in studio dal titolo L’uomo che viaggiava nel vento, ma qualcosa è già in cantiere per il prossimo autunno. Convinto esploratore dello storytelling e affabulatore in barre, Murubutu è attivo del ‘90 con quattro album solisti e collaborazioni con artisti del panorama hip hop italiano come Ghemon, Dargen D’Amico e Rancore.
L’ultimo album e il precedente Gli ammutinati del Bouncin’ ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari sono album impostati attorno al tema del viaggio…
«Entrambi rispondono all’idea del concept album. Da un lato è un vincolo ma anche una libertà. Mi piace poter parlare dello stesso elemento e sviluppare il tema in tutte le sue potenzialità. Fare una raccolta di racconti può essere molto dispersivo, ma con un elemento univoco mantengo lo stesso comune denominatore. Restringere il bacino di metafore è stato sicuramente un espediente narrativo, come la decisione di dedicare ogni canzone ad un vento».
C’è tantissima Francia nelle canzoni.
«Vero, forse anche in modo inconsapevole. Mi ispiro molto ai naturalisti francesi come Zola e Maupassant dal punto di vista della scrittura. Poi un ruolo lo gioca anche la memoria. Alcune ambientazioni sono ricordi d’infanzia».
Gli artwork degli album richiamano le copertine dei libri: è una sorta di dichiarazione di intenti?
«La mia volontà è quella di fare della narrativa con il rap. Sono un lettore accanito, leggo molto e questo entra nella mia scrittura. La mia è una scrittura realista, quindi racconta l’esistenza come è. Ed è un dramma, fatto di cose negative e positive. C’è tanta sofferenza ma anche un bagliore di speranza. La vita è questo».
Si può dire che nel suo rap non c’è la spinta antagonista insita nel genere?
«Il rap non è più così antagonista come gli anni ’90, quello che va in classifica adesso si rifà al capitalismo. Il mio è diverso dalla versione consumistica del rap e mi preme sottolineare che in realtà quello che c’è di accattivante è il fatto che ci siano delle biografie. E le biografie continuano ad esercitare un grande fascino sulle persone».
E la trap?
«La trap è fruita da ultragiovani e questo crea del business e fa in modo che molti locali siano disponibili a far girare hip hop. Come molti altri artisti anche io ne beneficio e riesco a suonare con facilità. Molto spesso si punta il dito contro il mainstream perché se ne fornisce un’immagine stereotipata, ma aumentando i riflettori del mainstream fa circolare anche l’underground.
Ha collaborato con Ghemon, Dargen D’amico e Rancore. Perché?
«Li ritengo le migliori penne d’Italia e volevo dare al pubblico una diversa dimostrazione di come il rap possa assurgere a livelli altissimi. Perché Murubutu? «Nell’Africa subsahariana designa una figura in grado di guarire con il potere della parola».