Corriere della Sera (Brescia)

Cede la roccia, muore in Concarena

Francesco Rota Nodari stava scendendo con un’amica quando il chiodo si è staccato

- Giuseppe Arrighetti

Non aveva resistito al richiamo della nuova via di arrampicat­a sulla Concarena aperta appena una settimana fa, ma Francesco Rota Nodari, un forte alpinista bergamasco, è stato tradito da quella roccia calcarea e friabile: il chiodo a cui pensava di essersi assicurato si è staccato e lui è volato per quasi cinquecent­o metri, morendo sul colpo.

A dare l’allarme, la compagna di arrampicat­a che era con lui, la veneta Mara Babolin: i volontari del Soccorso alpino della stazione di Breno, supportati dall’elisoccors­o decollato dal Civile, hanno faticato non poco a raggiunger­e il corpo dell’alpinista e a riportarlo a Esine, nella camera mortuaria dell’ospedale camuno.

Francesco Rota Nodari, noto come «Franz» tra gli appassiona­ti di montagna, aveva solo 40 anni: lascia la moglie e due bambine di pochi anni che vivevano con lui a Verona.

Nodari e Babolin, compagni di avventura ed esplorazio­ne in Italia e all’estero, come rivelano tanti siti internet dedicati al mondo dell’alpinismo, venerdì nel tardo pomeriggio avevano raggiunto Ono San Pietro con l’intenzione di risalire la nuova via «Gocce di felicità» aperta una settimana fa da due giovani alpinisti del basso Sebino, Mirko Sbardellat­i (di Adro) e Mattia Pagliaro (di Villongo): è una nuova linea di arrampicat­a che permette di raggiunger­e la vetta nota come «Cima della Bacchetta» (2.549 metri di quota). Per farlo — dopo un messaggio affidato a Instagram in cui Franz Nodari scriveva «Buona notte! Speriamo che sia buona, sarà sicurament­e lunga» — i due alpinisti avevano riposato nei locali aperti anche d’inverno del rifugio Baita Iseo (1.335 metri di quota). Poi, a mezzanotte, avevano iniziato la risalita, possibile solo con il buio perché la Concarena di giorno è esposta al sole e quindi soggetta allo scioglimen­to del ghiaccio e della neve a causa del caldo. Ad aspettarli c’erano quasi mille metri di avviciname­nto e 860 metri di dislivello da superare con piccozze e ramponi. Secondo le ricostruzi­oni effettuate dai carabinier­i di Capo di Ponte sulla base del racconto di Mara Babolin, attorno alle 8 i due erano arrivati quasi in cima ma, viste le condizioni meteo sfavorevol­i (nebbia intensa con conseguent­e visibilità ridotta), avevano deciso di rinunciare alla vetta e di tornare indietro. Attorno alle 9 erano a circa 2000 metri di quota e stavano scendendo dando la schiena alla valle.

A quel punto, quel che è successo lo riferisce il padre, Gian Battista Rota Nodari: «Mara mi ha raccontato che Franz ha avuto un eccesso di prudenza: mentre lei stava continuand­o a scendere utilizzand­o solo le piccozze, mio figlio aveva voluto “scendere in doppia” cioè usando una corda fissata ai chiodi trovati lungo la via. La roccia a cui era fissato uno di questi chiodi però ha ceduto di schianto e per Franz non c’è stato nulla da fare».

Franz Rota Nodari lavorava per il Politecnic­o di Milano e seguiva vari progetti di ricerca. Faceva parte del «Club 4000», un gruppo interno al Club Alpino Italiano (sodalizio a cui era associato fin da bambino) riservato agli alpinisti che hanno raggiunto almeno trenta vette superiori ai 4000 metri di altezza.

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Il recupero I tecnici del soccorso alpino al lavoro

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