Ferruccio de Bortoli a Brescia per parlare del suo libro «Ridateci i poteri forti»
Irumors attorno a «Poteri forti (o quasi)», l’ultimo libro pubblicato da Ferruccio De Bortoli con La Nave di Teseo, erano iniziati ancor prima della sua pubblicazione per alcuni lanci di agenzia che riportavano un passaggio su Maria Elena Boschi, all’epoca sottosegretario alla presidenza del consiglio, che nel 2015 non avrebbe avuto problemi a rivolgersi direttamente all’amministratore delegato di Unicredit, chiedendo a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. La Boschi annunciò querela. «Ma a tutt’oggi io non ho ricevuto nulla, né querela né l’annunciata richiesta di risarcimento danni in sede civile» ribadisce de Bortoli, ospite a Bagnolo Mella delle Associazioni culturali CaraMella, Artemisia e Co.Art.Co, per presentare il suo libro. «Parliamo di cose più serie». Parliamone.
Quanto c’è di provocatorio nell’auspicare l’aumento, non la diminuzione dei cosiddetti poteri forti?
«Nulla di provocatorio. A cominciare dall’economia per finire alla politica, è stato il loro ridimensionamento a creare molti dei problemi che abbiamo. In un territorio come quello bresciano, ad esempio, ce ne vorrebbero di Lucchini: con tutti i limiti e le imperfezioni che possiamo addebitare a quella generazione industriale, dobbiamo riconoscere quanto fosse propulsiva per l’economia del territorio, oltre che per tutto il paese. Oggi siamo un paese che produce, ma che consegna la grande distribuzione — che è quella che fa il mercato — nelle mani degli stranieri, francesi per primi. Pensi alle telecomunicazioni, alla moda, al reparto agroalimentare».
E sul piano politico? A proposito, si farà o non si farà il governo, e che governo?
«Per favore, avevo chiesto di parlare di tutt’altro, non fatemi fare l’oracolo».
Va bene, allora, tema: poteri forti e politica.
«La scomparsa dei grandi partiti novecenteschi è stata una iattura, come dimostra Macron, che è un liofilizzato dei poteri forti, quelli che partendo dall’economia condizionano la politica, non ne sono regolati, come dovrebbe essere».
Spostandoci sul piano economico dovremmo quindi invocare il ritorno dei cosiddetti poteri forti?
«Senza alcun dubbio. Sen- za di essi siamo in balia del mercato, cioè alla mercé di altri paesi, Francia e Germania in testa, considerando che siamo il secondo paese manifatturiero».
Quali sono stati gli errori più macroscopici?
«Si è pensato — erroneamente — che l’idea patriarcale dell’impresa familiare fosse un tabù inscalfibile, mentre impresa e famiglia non vanno sempre a braccetto e non mancano gli esempi in tal senso. Per contro la Germania, più di altri paesi, ha capito come il management dell’azienda poteva e doveva essere in alcuni casi slegato dalla famiglia».
Cavalcando 40 anni di un mestiere «che fin da piccolo sognavo di fare», de Bortoli racconta anche qualche aneddoto relativo ai grandi personaggi incontrati alla direzione del Corriere. Fra essi, uno relativo all’indimenticabile Leo Valiani.
«Mi ha insegnato come le cose da fare vadano sempre fatte nei modi, nelle forme e nei tempi dovuti. Quando scriveva i suoi pezzi per il Corriere li portava personalmente e personalmente doveva consegnarli nella stanza del direttore. Quando arrivava, io andavo a riceverlo davanti all’ascensore, ma lui non me lo dava lì, il suo pezzo, doveva consegnarmelo nella stanza del direttore. Allora impiegavamo oltre una mezzoretta per percorrere i metri che ci separavano dalla mia stanza, parlando di tutto, meno che del pezzo». L’obbedienza non è più una virtù
Territori Figure come Lucchini sono state propulsive per il territorio e per l’intero Paese
Patriarcato È stato un errore pensare che non si potesse scalfire l’idea patriarcale dell’impresa familiare