Le misteriose divinità di Marco Barina costruite con gli scarti
Idoli ancestrali, figure apotropaiche o propiziatorie, feticci primitivi, urne cinerarie, maschere, totem. È un mondo parallelo, fantastico ma verosimile, quello creato dallo scultore romano Marco Barina, classe 1956, in mostra al Labirinto della Masone nella rassegna «Museo di Pangea. Le civiltà immaginarie di Marco Barina», a cura di Fondazione Franco Maria Ricci ( fino al 10 giugno, via Masone 121, Fontanellato, Parma, tutti i gg. ore 10.30-19, martedì chiuso, euro 18/10 compreso labirinto e collezione
permanente). Pangea era l’immenso sovracontinente preistorico da cui avrebbero preso forma i continenti attuali, una realtà mitica e originaria che non esiste più. Da qui prende spunto Barina, per inventare statue e statuette antropomorfe che sembrano testimonianze di un’antica civiltà globale mai vissuta: costruite come i «ready made» di Marcel Duchamp o di Pablo Picasso, risultano dall’assemblaggio di vecchi oggetti da brocante e merci di scarto, trovati dai rigattieri o ai mercati delle pulci. Ciotole, posate, utensili da lavoro, zuccheriere, vasi, chiavistelli, grattugie si uniscono a formare teste, corpi e arti di misteriose divinità, in un linguaggio tra l’etnografico e l’antico. Oltre alla mostra, si visitano il labirinto verde composto da 200 mila bambù e la curiosa, variegata raccolta d’arte dell’editore parmense Franco Maria Ricci: circa 500 pezzi di pregio tra scultura, pittura e rarità bibliografiche tra XVI e XX secolo. (c.v.)