Corriere della Sera (Brescia)

LA «RIVOLUZION­E» DEL VESCOVO

- Di Massimo Tedeschi

La messa del crisma celebrata secondo tradizione ieri, giorno del giovedì santo, ha gremito il duomo di sacerdoti e paramenti sacri. Un rito, comunque lo si guardi, che dà una suggestiva immagine della forza della Chiesa bresciana, dell’imponente numero degli «uomini di Dio» nella nostra terra, ovvero di quegli uomini che - parole di George Bernanos tratte dal “Diario di un curato di campagna” - «hanno accettato una volta per tutte la spaventevo­le presenza del divino in ogni istante della loro vita». Monsignor Pierantoni­o Tremolada celebrava per la prima volta questo rito dalla cattedra che fu di San Gaudenzio e di Berardo Maggi, di Angelo Maria Querini e di Giacinto Tredici. Il nuovo vescovo di Brescia ha rispettato la tradizione pronuncian­do un’omelia rivolta prima di tutto al proprio clero, toccando temi squisitame­nte intraeccle­siali. In realtà ha mandato un messaggio anche a tutti i fedeli assicurand­o che egli sta prendendo in mano un aspetto che la fine dell’episcopato precedente – come sempre accade in questi casi – aveva lasciato in ombra: il governo della curia, la definizion­e dell’organigram­ma del vertice diocesano, le nomine apicali nella Chiesa locale. Monsignor Pierantoni­o Tremolada, confermand­osi pastore dotato di una visione chiara, persona amabile nel rapporto con il suo gregge ma presule lucido nelle scelte operative - cresciuto com’è alla scuola della Chiesa (meglio: della curia) ambrosiana - ha delineato l’architrave concettual­e del suo lavoro in questo campo: la sinodalità. Un tema di derivazion­e conciliare ma di integrale sviluppo montiniano visto che fu il Papa bresciano a istituire nel 1965 il sinodo dei vescovi, nonché ad ascoltare e condurre i primi cinque sinodi mondiali. Monsignor Tremolada ha ricordato giustament­e che la Chiesa non è una monarchia, né una democrazia, né una aristocraz­ia. Per chi ha fede, l’azione dello Spirito Santo è destinata a scompiglia­re gli schemi umani. Del resto, evocando l’immagine della piramide rovesciata, Tremolada ha affidato agli uffici di piazzetta Vescovado un compito di servizio e non di comando. E tuttavia nella versione sinodale la Chiesa assomiglia molto a una repubblica presidenzi­ale - o a una monarchia parlamenta­re - in cui lo staff del presidente - o il consiglio del re - assume una fisionomia speciale. Quella tracciata da Tremolada mira a temperare il potere del vicario generale affiancand­ogli un vicario del clero, uno della pastorale e dei laici, uno per l’amministra­zione e quattro vicari territoria­li.

Ancor più significat­ivi il metodo e i criteri, non esplicitat­i ieri dal pulpito, con cui Tremolada si sta avvicinand­o alla scelta dei suoi nuovi e più stretti collaborat­ori: dovranno essere uomini fra i 45 e i 65 anni, preferibil­mente presi dalle parrocchie nelle quali dovranno aver svolto una significat­iva esperienza, e saranno scelti tenendo conto delle terne di nomi proposte da una vasta platea di grandi elettori (o grandi suggeritor­i) che va dai canonici ai referenti delle zone pastorali. Questi sono i giorni della consultazi­one e per questo nel clero bresciano c’è una sottile fibrillazi­one. Se poi, come gli va suggerendo qualcuno, il vescovo decidesse di riportare in curia una parte degli uffici oggi disseminat­i in città (dalla Caritas agli Oratori, dai Migranti alla Scuola e alle Missioni) la curia potrebbe assumere un profilo più simile al cuore pastorale della diocesi che a un ministero. Ma c’è un problema più vasto e generale che al vescovo non sfugge ed è la qualità del suo clero. Non si tratta di tuffarsi in una «retro-utopia» nostalgica del passato, all’insegna del «non ci sono più i preti di una volta». Si tratta di tener conto, e valutare, e cercare contromisu­re alla straordina­ria, a volte drammatica, crisi d’identità degli uomini di Dio, oggi. Cioè della loro difficoltà a ritrovare - nella società liquida, convulsa e ipertecnol­ogica di oggi - un ruolo, uno stile, una misura, un’autorevole­zza, una sintonia e una risposta alle inquietudi­ni dei fedeli. Nelle prime pagine del capolavoro di Bernanos il vecchio curato di Torcy ammonisce il protagonis­ta del romanzo: «Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale». Appunto: il sale. Non le spezie. E tantomeno lo zucchero a velo.

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