Tutto il basket abbraccia Marco Solfrini E il Duomo si trasforma in un palazzetto
Gli amici di sempre, arrivati da tutta Italia, uniti in un’unica squadra
Sarebbe stata la festa perfetta per i suoi 60 anni, compiuti il 30 gennaio scorso. Erano tutti a Brescia, per Marco e per la sua famiglia. I compagni di nazionale, quelli che ottennero con la matricola Solfrini — all’epoca ventiduenne — una storica medaglia d’argento all’Olimpiade di Mosca del 1980 e coloro i quali ogni estate indossavano con lui la maglia azzurra in giro per il mondo nei campionati Master; gli amici cresciuti con lui a pane e canestri nella Pinti Inox, poi divenuta Cidneo, la squadra della sua vita al pari del Banco di Roma con cui vinse tutto in Italia e nel mondo; la Germani al completo, che osservava da tifoso dopo essere stato tra le architravi del nuovo corso sino al 2012; i tanti volti incontrati da compagno o da avversario, in tutte le palestre della provincia, all’imbrunire di una carriera dove non è mai calato il sole.
L’appuntamento per tutti, ieri, è stato invece in Duomo, diventato per 40 minuti — proprio come una partita di pallacanestro — un palazzetto, gremito da nomi da «All Star Game». Ma senza sorrisi, solo lacrime e quegli sguardi smarriti di chi ha perso un amico senza capire il perché. Marco Solfrini ha osservato dall’alto, le sue enormi braccia ora sono ali e avrà accarezzato i presenti con la consueta grazia e misura, dote rara per i giganti. Sembravano tutti più piccoli, chiusi in un dolore che solo gli abbracci con qualche compagno ritrovato hanno potuto lenire: da Meneghin al ct azzurro Sacchetti, fino a Bonamico, Riva, Carera, Brunamonti, i bresciani Palumbo, Marusic, Pedrotti, Motta, Cantamessa (amico fraterno, ora vice allenatore di Trento, che gli costruì a casa una bacheca dove collocare tutte le medaglie) e il gemello cestistico Ario Costa, che ha prestato la sua voce alle letture di una cerimonia breve ma sentita, bagnata dalla pioggia e dalle lacrime inconsolabili della moglie Tanya, dei quattro figli, di Matteo Bonetti — patron della Germani — e dei tanti tifosi, cresciuti insieme a Marco e ora con qualche capello bianco in testa, che hanno accolto l’arrivo del feretro con uno striscione: «Marco Solfrini, grazie per l’eternità». Per raccontare a tutti chi era ci sarà tempo, il nuovo Eib avrà una curva a lui dedicata e la società pensa già a una statua che scolpisca nel tempo il suo mitico «gancio cielo». Mancherà. Soprattutto a chi con lui aveva creato una famiglia. Le sue squadre hanno una stella a proteggerle, ai suoi cari resta invece un vuoto incolmabile nel quotidiano.
Chi ha voluto bene a Marco ora dovrà pensare a loro.