I cent’anni di Bruno Boni esempio da non scordare
Mi sarebbe piaciuto raccontare Bruno Boni solo con fotografie ma certamente non è impresa facile. Non lo è mai per personaggi di tale calibro, soprattutto se hai avuto a che fare con il «Professore». Sì perché se c’era un uomo che riservava la giusta importanza all’immagine, era proprio lui. Lo avevo incontrato in Castello quando avevo sedici anni: camminavo da solo quando me lo ero trovato davanti. Fiero, con il cappotto di lana a lisca di pesce grigio, dolcevita bianca e un libro nella mano destra. Ricordo di averlo fissato sbalordito, lui, che notava tutto, mi sorrise e mi disse: buongiorno. Risposi imbarazzato e a fatica, non ci credevo; il sindaco mi aveva salutato. Tornai spesso in Castello per rivederlo e scambiare quel saluto di cui andavo fiero. Non immaginavo certo che dopo una ventina d’anni sarebbe diventato un «amico», un secondo padre, un punto di riferimento. Quando nei primi anni ottanta rilevai lo studio fotografico Orioli, a ridosso dei portici, la mia frequentazione divenne quasi quotidiana: la colazione alla pasticceria Camera era per noi quasi un rito. Spesso la mattina, dopo aver fatto le ore piccole al giornale, arrivavo in ritardo e la ragazza del mio studio mi rimproverava: è passato il professore, la aspetta in Broletto. Non sempre andavo immediatamente ma quando aprivo la porta mi accoglieva con il solito ritornello sarcastico: «La sera leoni, la mattina ..... ». Poi le chiacchierate nel suo studio, il suo l’impegno politico e le «vasche» sotto i portici. In quel periodo della mia vita ero diventato il suo «amico» fotografo e queste sue attenzioni mi riempivano d’orgoglio. Come le numerose lettere che mi recapitava in studio, non ultima quella con cui condivideva la sua vittoria alle elezioni del 1985 attribuendo alle fotografie dedicate alla campagna elettorale un valore tale da scrivermi che : «I nostri nomi saranno legati al 12 maggio per il suo contributo all’esito finale, per me importante, per non dire determinante…». Nulla di più bello poteva scrivermi. Raccontare Bruno Boni utilizzando le sue fotografie è oltremodo difficile perché non basterebbe il palazzo più grande della città, per esporle. Sempre immortalato dai fotografi, amava conservare le immagini e scrivere lettere, ad ogni ricorrenza e in ogni occasione; era per lui un piacevole «dovere». Riordinando il suo archivio fotografico ho trovato, tra centinaia di lettere, una indirizzata a suo figlio Roberto quando aveva solo sei anni: si complimentava con lui per i bei voti alla fine dell’anno scolastico. Un archivio che contiene corrispondenza politica e amministrativa qualificata ma che racconta anche di genuini rapporti di amicizia, di amore, di spirito di servizio per la propria gente. Quello che oggi serve alla nostra città, che spesso ricorda Boni ad intermittenza, è il rilancio concreto della preziosa eredità morale e politica lasciata da Bruno Boni. In questi ultimi anni con il Presidente dell’associazione, Roberto Boni, si è fatto molto sollecitando pubblicazioni, incontri, mostre e iniziative, non ultima la collaborazione con Paolo Corsini e Marcello Zane, nell’edizione di «Carisma democristiano» edito da La Scuola. In questo anno di ricorrenza del centenario dalla nascita sono in programma: la VI edizione del Concorso Fotografico legato alla Mille Miglia, una mostra di fotografie nel mese di maggio, la collaborazione con Paolo Mazzetti che in autunno darà alle stampe un libro sul «Sindaco della Mille Miglia» edito dal Club Mille Miglia Franco Mazzotti, infine, la definizione di un progetto di rilancio dell’associazione che con tenacia, nonostante le difficoltà, intende rafforzare la propria organizzazione. Come ultima fotografia, a distanza di oltre un ventennio, mi piace ricordare l’orazione funebre di Mino Martinazzoli, suo successore che sotto il porticato della Loggia singhiozzando concluse con una promessa: «... noi non la dimenticheremo, Professore. E lei non si dimentichi di noi, carissimo, Sindaco per sempre».Noi non lo abbiamo dimenticato.