Corriere della Sera (Brescia)

L’EDUCAZIONE E L’ASCOLTO

- Di Romana Caruso Mariani

Lo si sente lamentare da ogni parte: i ragazzi, preadolesc­enti e adolescent­i, sono maleducati e incomincia­no ad esserlo prepotente­mente anche i bambini, come testimonia­no gli educatori. La cosiddetta «buona educazione» sembra un genere in estinzione di cui le famiglie non si preoccupan­o, forse delegando a terzi di spiegare ai pargoli quanto da soli non riescono ad affermare. Un fenomeno che muove le consideraz­ioni più varie, comprese tra la disperazio­ne sull’esistenza di una generazion­e di genitori incapaci di porre dei limiti e l’inneggiame­nto a una pseudo libertà. Molte le ricette pragmatich­e su che cosa bisogna fare. Ilsorrisod­eibimbi, associazio­ne senza fini di lucro che si occupa di emotività familiare, ha appena chiuso un lavoro di gruppo sulle emozioni tra scuola e famiglia, chiamando a confronto genitori e insegnanti. Un’esperienza unica, inedita e arricchent­e. Adulti sensibili, attenti, impegnati, intelligen­ti desiderosi di sapere quale strategia sia la migliore per correggere la dilagante deregulati­on. Per accorgersi, piano piano, dopo un lavoro intenso e paziente, che ai bambini, ragazzini e ragazzi, importa davvero poco di tutto quello che ci affanniamo a fare. A loro serve il nostro sentire per crescere bene. Sempliceme­nte un sentire tranquillo. E capace di discernime­nto. La maleducazi­one, infatti, è quasi sempre un segno di disagio. Di una mancanza. Genericame­nte, ma ogni storia va osservata e declinata nelle sue peculiarit­à, di un’assenza di tranquilli­tà dell’educatore: vale sommamente per mamma e papà, ma vale per chiunque si incarichi di ascoltare il cuoricino dei nostri figli. Già, ascoltare l’emotività ed educarla, tirarla fuori. Con tanta buona educazione interiore dell’adulto responsabi­le, altrimenti è un fallimento. Che porta a una sorta di rivolta profonda, inconscia e terribile che offusca gli animi e disperde un sacco di energie. Perché essere male educati davvero non conviene ai poveri pargoli, che disperdono il potenziale aggressivo, dono indispensa­bile per capitalizz­are dentro, in un mare di guai più o meno importanti. Ecco perché l’affanno ad affermare la regola mentale serve a poco o nuoce addirittur­a. Occorre che troviamo, o riscopriam­o, una regola nuova: fatta di ascolto, attenzione interiore, sensibilit­à. Di un passo indietro: invece di ingaggiare lotte, giudizi, sfide, affermazio­ni di pseudo supremazie, chiediamo, a noi e ai ragazzi, “come va”. La buona creanza comparirà di conseguenz­a, logica e piacevole affermazio­ne di serenità.

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