Ombre e ardori dell’800 tra leggerezza e incanto
Un florilegio che ha il buon aroma di carta ingiallita e il color seppia di fotografie al nitrato d’argento. Nessun sospetto di antiquariato, però. L’Ottocento è il corredo cromosomico della contemporaneità, è il grande futuro che abbiamo alle spalle. Un secolo vivo, che è un giacimento di storia a venire, una sorgiva di letteratura, arte, tecnica e scienza che abbiamo avuto in eredità. Elena Bucci e Marco Sgrosso raccontano questo secolo — Ottocento è il titolo del loro spettacolo prodotto dal Ctb e in replica al Santa Chiara Mina Mezzadri (foto Favretto) — calandosi nei panni di due testimoni facondi (Clotilde e Gioacchino) che, da ombre di uno schermo che è il nostro immaginario, prendono vita sul palco e ci accompagnano in un viaggio nel tempo. Un viaggio di parole, di fantasmi e memorie, attraverso pagine di romanzi, drammi teatrali, figure miliari, voci e presenze. Non più dei, papi o monarchi, l’Ottocento, ricorda Victor Hugo, è il secolo dell’uomo, con le sue battaglie politiche e i suoi diritti civili, ma anche con le profondità oscure e i cassetti segreti dell’io. Nella galleria sfilano Emily Dickinson, che scoprì il mondo in una stanza, la Parigi di Madame Syphilis e dell’assenzio, le tre sorelle Brontë, i malinconici interni cechoviani, i sottosuoli di Dostoevskij. L’Ottocento è il secolo delle turbolenze amorose di donne coraggio, delle ribellioni familiari, delle prigioni domiciliari, delle etichette borghesi, delle vite maledette: l’insoddisfatta Emma Bovary, la scandalosa George Sand, La Signora delle Camelie che diventa Traviata, la trasgressiva Nora Helmer, la rovina dei Buddenbrook, la disperata Anna Karenina. Un secolo ad alta intensità emotiva che Bucci e Sgrosso, interpreti di rara classe, ripercorrono con leggerezza e incanto, mettendo a fuoco ardori ed ombre, svariando i registri (il furto gogoliano del naso), non perdendo mai il filo che tiene insieme le loro perle. Applausi sacrosanti. (n.d.)