La regina del silenzio di Rumiz
Un libro fantasy sul potere della musica per i bambini che piace anche agli adulti
Si dice che la musica sia capace di smuovere le pietre. Euripide scrive nell’Alcesti: «Ciò che è selvaggio, disordinato e litigioso, la cetra di Apollo lo placa e addolcisce». Ed è proprio un fantasy sul potere della musica, mirato sui bambini over 8, ma che piace molto anche agli adulti, l’ultimo libro di Paolo Rumiz (La Regina del Silenzio, La nave di Teseo, pp. 214, euro 16, 00). La vicenda è ambientata in un paese immaginario, la cui mappa geografica è disegnata nella copertina cartonata interna. Ci troviamo in un tempo forse medioevale, nella terra dei Burjaki, la grande pianura oltre i Carpazi dove noi sappiamo stendersi l’Ucraina, la Bielorussia, la Polonia. E dove, in assenza della cassa di risonanza naturale delle montagne, i popoli sono costretti a cantare per non deprimersi.
Un giorno, il malvagio re Urdal è sua madre Ubidaga, la Regina del Silenzio, invadono la pianura dei Burjaki, terrorizzando la popolazione, e vietando qualsiasi tipo di musica ai suoi abitanti. Eco, il signore dei suoni, si oppone a questo comandamento, ma viene fatto prigioniero.
E così, nella terra dei Burjaki cala un insopportabile silenzio. In questo mondo triste nasce e cresce Mila, giovane donna che però ha un dono innato per la musica. Sarà lei, armata solo del suo violino, affiancata da un bardo con la tambùriza, a riportare la libertà e le sonorità nella sua terra.
Paolo Rumiz, giornalista, scrittore e viaggiatore triestino, sarà ospite domani in città di un doppio appuntamento: la mattina al teatro Sociale con le scuole nell’ambito del Booktrailer Film Festival, nel tardo pomeriggio alla Nuova Libreria Rinascita. Lo abbiamo intervistato al telefono.
Un fiaba sulla musica, ma anche sull’unità, sul superamento delle differenze tra i popoli. E un viaggio per cercare se stessi e un senso da dare all’esistenza.
«Il libro parla di un’Europa fantastica che ha perso l’armonia e necessita di uno strumento narrativo per essere raccontata. Ora l’Europa è grigia, ha bisogno di musica nel senso lato, ovvero di passione. Di una parola sola, armonia».
Oralità, cammino, poesia: la parola da sempre cerca il ritmo, la voce e i piedi, metrici e non solo.
«La scrittura è andata di pari passo con l’andatura e il ritmo. Con gli anni si scrive sempre meglio, soprattutto quando si esce dai vincoli giornalistici. La poesia è poi il tentativo della parola di diventare musica. Già il mio libro di qualche anno fa, La cotogna di Istanbul, era in versi e parlava di una canzone. In seguito è stato fatale l’incontro, una vera e propria epifania che mi ha cambiato la vita, con la European Spirit of Youth Orchestra. Sono giovani musicisti che ogni anno si incontrano, non si conoscono e mettono insieme un’orchestra vera. Mi piacerebbe tanto che l’Europa, assomigliasse a questa orchestra».
Oggi si ascolta molta musica, ma c’è molto rumore, non solo acustico. In che modo può aiutarci il silenzio?
«Siamo frastornati dai rumori e quindi il silenzio rappresenta la nota assoluta, l’elemento sinfonico basilare. Senza il silenzio non può essere espressa la musica. E questa è una cosa. Poi c’è anche il silenzio negativo di chi ti impedisce di parlare, di esprimerti, di chi impedisce i suoni di cui parlo nel libro. Ovviamente io condanno questo tipo di silenzio, che non è certamente quello del bosco, dell’aria rarefatta delle cime montane, della meditazione».
Possiamo dire che la Regina del Silenzio è situazione politica odierna?
«Siamo senza dubbio frastornati di segnali elettronici e messaggi digitati. Prima di essere spaventati dallo straniero, come non era mai accaduto in passato, noi siamo spaventati da noi stessi, non ci conosciamo più, non sappiamo più chi sia il nostro vicino di casa. Oggi l’uomo chino sul cellulare non ha il tempo tecnico di comprendere chi gli viene incontro».
Lei si è sempre dichiarato uomo di frontiere. Anche in questo libro si guarda a Est. È quella la nostra identità?
«Veniamo dalla grande madre dei popoli che è l’Asia, non dall’Atlantico. Per me è perfino strano che l’Europa abbia preso un nome a sé, che sia identificabile come continente. La sua identità è nata quando il Mediterraneo si è spezzato in due con la Jihad, con l’avanzata degli arabi che hanno decristianizzato il mare nostrum. Al tempo di Roma si parlava la stessa lingua tra popoli e in luoghi che ora sono in guerra. C’era una koinè formidabile alla faccia della globalizzazione di oggi».
Ora l’Europa è grigia, ha bisogno di musica nel senso lato, ovvero di passione. Di una parola sola, armonia