La passione-basket nel Dna Dal parquet allo sponsor
Fabio Zanardini, ex scarpette rosse, oggi fa l’imprenditore
Difficile passare inosservato quando si realizzano in media 50 punti a partita. Così successe, infatti, a Monza a Fabio Zanardini alla Coppa Alberto Giove. Correva l’anno 1990: l’Italia era concentrata sui Mondiali, ma il ragazzino classe 1977 al calcio preferiva la pallacanestro. Non era arrivato lì per caso, ma era la stella di una squadra (Borgosatollo) di provincia che, dopo aver vinto le fasi provinciali superando l’allora Telemarket, in quel di Sondrio aveva centrato uno straordinario terzo posto alle finali regionali. Non male per il piccolo paese alle porte della città. Zanardini aveva conquistato l’attenzione degli osservatori della Philips Milano che lo portarono appunto in Brianza per vivere il torneo internazionale di basket. Viste le prestazioni da protagonista, fu tesserato dalle Scarpette Rosse. Lì con la maglia numero 12, in omaggio ad Antonello Riva («rappresentava il mio riferimento cestistico»), ha giocato cinque anni, fino al 1995, nei Propaganda, negli Allievi, nei Cadetti e negli Juniores. Studio e palestra. Poi ha detto basta. Forse ha inciso la lontananza, forse il desiderio di nuove sfide. «Dopo un brutto infortunio, ho scelto – racconta – di tornare a casa e di giocarmi le mie carte in serie C, prima a Borgosatollo, poi a Pisogne e a Salò, per citare alcune delle piazze più prestigiose dove sono stato». È impossibile sapere fin dove sarebbe potuto arrivare, anche se il percorso tracciato e sudato lasciava intravedere parquet importanti per questa ala piccola che sapeva trovare in continuazione la via del canestro. «Non lo so – confida –, forse avrei potuto ambire alla serie B. Conosco, comunque, i miei limiti. Non ho rimpianti, ma ho la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza importante, dal punto di vista umano e sportivo, nella società più famosa d’Italia». Ha diviso lo spogliatoio, tra gli altri, con Andrea Michelori (ancora in attività a Verona in A2), che ha vinto uno scudetto con Siena, e ha visto da vicino due guru come Mike d’Antoni nella Milano di Pittis e Riva e come Bogdan “Boscia” Tanjevic. «Sì, venivano a osservare i prodotti del vivaio. Ho avuto la fortuna di vivere dei momenti molto belli, ma il basket giocato è stata solo una parentesi, seppur importante». A 28 anni ha concluso anzitempo la sua carriera perché l’orologio che scandisce il tempo della vita corre più veloce del cronometro del tabellone elettronico. «Ho smesso – confida – per la famiglia (con la nascita del primo figlio) e per concentrarmi sulla mia attività lavorativa». Oggi è amministratore delegato della Borgo Spurghi, sponsor della Germani dalle finali di Coppa Italia di Rimini della scorsa stagione con tanto di camion marchiato Leonessa. Lui e la sua famiglia numerosa (la moglie Chiara e i figli Gianluca, Damiano, Emanuele e Sebastiano) non si perdono un match sugli spalti del PalaGeorge lì dove, in occasione della sfida contro Trento, ha potuto anche riabbracciare il vecchio coach Fabio Corbani, che dal 1991 al 1997 ha guidato il settore giovanile di Milano prima di essere annoverato tra i migliori allenatori italiani. La passione per il basket non è venuta certamente meno ed è alimentata anche dall’entusiasmo di due giovani interpreti come Gianluca e Damiano (a 10 anni milita nella Germani). Gli altri due figli, invece, hanno scelto il calcio sempre con un buon esito. Il dna non mente. Nel frattempo, domenica alle 19, incrocia il suo passato. «A Milano ho imparato tanto, ma non ci sono dubbi: il mio tifo è tutto per Brescia. Abbiamo dimostrato di essere competitivi, ce la possiamo giocare. Confido molto nell’aiuto del pubblico». Il Palasport è sold out come ha ribadito in una nota la società: non ci sono tagliandi disponibili. L’unica speranza è legata alle autorità competenti che devono decidere in merito alla possibilità di aumentare la capienza fino al suo limite massimo.