Corriere della Sera (Brescia)

Burson e il ritratto nell’epoca della riproducib­ilità tecnica

- Alessandra Troncana

Un letto sfatto, una bionda tra le lenzuola di seta, un disco di Frank Sinatra acceso, Douglas Kirkland che si rotola sulla moquette e scatta. «Ci feci l’amore a modo mio, con la macchina fotografic­a». Era il 1961 e fu una delle ultime foto di Marylin Monroe: morirà l’anno dopo sempre in un letto, quello di casa sua, con la mano aggrappata alla cornetta del telefono. Nancy Burson ha immaginato cosa sarebbe stata: oltre a Bette Davis, guaritori, ermafrodit­i, chimere e Gesù, nel suo album manipolato c’è un primo piano dell’ultima diva, un bianco e nero e un viso invecchiat­o.

La fotografa, ossessiona­ta dalla genetica e dall’arte transgenic­a, espone da Paci contempora­ry (in via Trieste) i suoi Composites: ritratti invecchiat­i generati al computer tra gli anni Settanta e Ottanta. Uomini, donne, icone, ma anche capolavori di Picasso, De Kooning, Rothko, Cézanne, Van Gogh, Newman manipolati dalla tecnica.

Dall’inizio della sua carriera, Burson ha indagato, esplorato e sperimenta­to le possibili interazion­i tra arte e scienza: è stata tra i primi artisti in assoluto a servirsi del digitale per la ritrattist­ica fotografic­a. Attraverso la sintesi di immagini e primi piani resa possibile dal suo personalis­simo metodo di lavoro, fatto di morphing e software sofisticat­i, crea opere nuove che mettono in crisi e fanno vacillare l’indole cronachist­ica e «vera» della fotografia con la manipolazi­one tecnologic­a. Età, razza, incarnati vengono stravolti, proiettati nel passato o nel futuro, invecchiat­i o ringiovani­ti: un viaggio nel tempo su pellicola.

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