Roma-Liverpool la finale «incubo» di Dario Bonetti
Stasera la Roma sfida il Liverpool per cancellare la finale persa nel 1984 Dario Bonetti era in campo: «Di Francesco può farcela, ma quella ferita resterà ancora»
Le finali sono come i rigori: le sbaglia solo chi può tirarle. Pardon, giocarle. Dario Bonetti, svezzato a San Zeno a pane e pallone, talmente precoce da essere acquistato dalla Roma a 18 anni e di vincere subito la sua prima (ne sarebbero seguite altre tre) Coppa Italia, conosce bene l’una e l’altra massima. Si sono fuse nella serata più importante e più amara della sua vita. Una data che resta nella testa di tutti i romanisti, senza possibilità di rimozione: 30 maggio 1984, stadio Olimpico, Roma-Liverpool. Finale, appunto, di Coppa dei Campioni. Un dramma, con esito «triste e solitario» come la camminata di chi deve tornare a centrocampo dopo aver sbagliato dal dischetto. Quella sera capitò a Bruno Conti e Ciccio Graziani, due anni prima eroi Mundial.
Stasera, nella semifinale di Champions League, la «Magica» gioca per riscrivere la storia e anche per alleviare il dolore di chi ancora non ha metabolizzato «un lutto, quella finale lo è ancora», racconta Bonetti, «non ho mai avuto il coraggio di rivedere in tv le immagini». Andò tutto storto, a lui («Rinviai addosso a Tantra credi e propiziai il loro vantaggio, uno scivolone mai accaduto in una carriera intera. Però li riprendemmo subito») e ai compagni, «eravamo giovani e giocare in casa non ci aiutò».
Potrebbe riuscire a farlo se stavolta andasse diversamente?
«No spero con tutto il cuore che vinca la Roma, ma quel dolore resterà per sempre. Nel 1992 ci riprovai con la Sampdoria, in finale contro il Barcellona rimasi in panchina e giocò mio fratello Ivano. Al- serata disgraziata: Koeman ci castigò ai supplementari».
Sarà forse stato un segno del destino riproporre ora quel duello?
«Tutto può essere ma ci credo poco. Di Francesco però può farcela, la sua squadra ha giocato una Champions di grande intelligenza. Anche se, nella mia epoca, la coppa dalle grandi orecchie era riservata solo a chi vinceva il campionato. E quel Liverpool era più forte rispetto ad oggi».
Cosa cambierebbe, 34 anni dopo, per vincere quella finale?
«Avremmo dovuto avere Cerezo e Falcao dal dischetto: uno era uscito nei supplementari, l’altro non stava bene e chiese di non calciare. Fu sbagliato l’avvicinamento all’evento: a campionato finito, andammo in ritiro in montagna due settimane e, al ritorno, ci allenammo a porte chiuse. Una quarantena che ci paralizzò all’Olimpico, sarebbe stato preferibile farsi trascinare dall’entusiasmo della città anche alla vigilia». Di Francesco se lo appunti per il ritorno, potrebbe servirgli.