Violenze a scuola I docenti pensano ad una polizza
Le accuse: venuto meno il patto educativo
Il caso di Lucca resta ineguagliato, ma anche nel Bresciano i professori devono fare i conti con situazioni al limite, studenti che sempre meno sentono l’autorità dei professori. Proprio per questo il sindacato «Gilda degli insegnanti» sta valutando di proporre ai propri iscritti una polizza. Su un punto i sindacati sono tutti d’accordo: alla base del bullismo c’è il mancato rispetto dell’autorità dell’insegnante. Tutto amplificato da internet e dalla presenza di cellulari. Mario Maviglia, ex provveditore, invita a non sottovalutare il problema, ma nemmeno a drammatizzarlo.
Le minacce e le offese a un professore da parte di uno studente, con tanto di video realizzato da alcuni suoi compagni di classe, ha riportato l’attenzione sul tema della violenza e del bullismo nelle scuole.
Mario Maviglia, provveditore a Brescia fino a pochi mesi fa ora in pensione ma sempre attento osservatore — anche grazie a una rubrica sul sito della Giunti Editore — del mondo della scuola e candidato nella civica per il sindaco uscente Emilio Del Bono, invita a non sottovalutare ma anche a non drammatizzare. «Senza sminuire la gravità degli episodi, talvolta veramente molto gravi, dobbiamo anche ricordarci che abbiamo milioni di studenti che vanno a scuola. Non voglio sottovalutare il fatto in sé, ma sarebbe utile avere a disposizione anche dei dati quantitativi, che invece temo non ci siano».
Il video diffuso in rete impressiona.
«Certo. E ci dice che qualcosa nell’interazione tra scuola e famiglia non funziona. Era impensabile, fino a un po’ di anni fa, che un comportamento del genere da parte di un ragazzo non avesse conseguenze anche in ambito famigliare. C’era una complicità nel progetto educativo, l’insegnante veniva considerato una autorità: il rapporto oggi sembra un po’ incrinato».
Dell’episodio di Lucca colpisce che il professore non abbia poi denunciato.
«Purtroppo ci sono docenti che non socializzano eventuali episodi gravi, evitando il confronto con il consiglio di classe. Invece bisognerebbe avere sempre in testa la necessità di una risposta di gruppo, collettiva. Poi si tratta di delimitare meglio il perimetro e le modalità: come si sta a scuola, come ci si comporta, come ci si veste. Tutto questo, invece, a volte non è definito e va a finire che suscita scalpore il docente o la circolare che vieta il cellulare in classe. Alcune di queste cose possono e devono essere negoziate, ma ci vuole un sistema di regole precise che poi deve essere rispettato, altrimenti si sfibra tutto».
Un articolo di Michele Serra sulle differenze che esistono tra scuole professionali e licei ha creato non poca discussione.
«È una verità quasi banale: è ovvio che negli istituti professionali ci siano mediamente ragazzi un po’ più gracili per apprendimento e risultati. I licei non sono dei paradisi ma l’utenza è più filtrata. D’altronde basta leggere i dati su percentuale di stranieri, disabili, bisogni educativi speciali per comprendere che fare scuola in un professionale è più complicato. L’ho detto in tempi non sospetti e come una provocazione: ogni insegnante dovrebbe farsi almeno qualche anno in un professionale».
A volte sembra emergere un carico di aspettative nei confronti della scuola. Che non può risolvere tutto.
«Ci vedo del positivo: la scuola è evidentemente ancora una istituzione percepita come un’agenzia educativa fondamentale. Ci sono grandi attese? Bene, è un modo per sottolinearne il valore che ancora oggi ricopre. Ed è proprio per questo che la scuola non può permettersi di calare le braghe. Non è che siccome il resto fuori non va bene, allora si fa altrettanto anche scuola».
E le tante attese delle famiglie?
«Sono segnali che la scuola deve cogliere per spiegare meglio cosa ci si aspetta dai ragazzi».