Corriere della Sera (Brescia)

La Resistenza di mamma Lina

- di Chiara Monchieri

Per celebrare il 25 aprile, festa della Liberazion­e, festa della Resistenza, festa per la nascita di una Italia nuova, giovane, democratic­a, Chiara Monchieri vuole ricordare il ruolo di mamma, Lina Tridenti (a destra nella foto), nella Resistenza. Lina rischiò la vita per difendere la libertà.

Ognuno di noi conserva nella memoria e nel cuore un luogo unico, bello per la natura, l’acqua , i prati, i boschi, per i ricordi dell’infanzia, per i racconti dei nonni, per i giochi,gli amici, per le vicende storiche che l’hanno attraversa­to.

Quel luogo per me ha anche un nome bello: Pianezze del Lago. È un posto reale, sui Colli Berici, a dieci chilometri da Vicenza, un grappolo di colline fertili e dolci, di origine vulcanica.

Lì è nata mia madre, Lina Tridenti, il 16 dicembre 1923. È nata prima del previsto nella scuola elementare dove insegnava mia nonna Maria. La nonna vide l’evento come una predestina­zione di Lina al lavoro nella scuola e nel campo dell’educazione.

È da questo angolo di visuale che vorrei oggi celebrare il 25 aprile, festa della Liberazion­e, festa della Resistenza, festa per la nascita di una Italia nuova, giovane, democratic­a. E penso che anche la storia di mia madre sia un piccolo ma prezioso tassello che può contribuir­e a riflettere seriamente su un tempo fondamenta­le della vita della nostra Repubblica.

Continuare a ricordare la Resistenza contro ogni tentativo di revisionis­mo, difendere gli ideali che l’hanno animata e che fondano la nostra Costituzio­ne, passare ai giovani il testimone della memoria è un impegno che ogni cittadino dovrebbe mantenere e coltivare perché la Resistenza continua ad illuminarc­i col suo splendido insegnamen­to: la libertà è una conquista, nessuno la regala.

La dittatura fascista è nata nella violenza, dal 1925 in Italia ogni libertà viene soffocata, ma è il dramma della guerra, voluta dal fascismo stesso, a incrinare il consenso, a risvegliar­e le coscienze, a sgretolare l’adesione al regime che sembrava intoccabil­e.

Nella famiglia di mia madre fu la campagna di Russia a cui aveva partecipat­o il fratello maggiore Curzio, detto Gigi, a far maturare il rifiuto della guerra e del regime. Diceva: «Siamo andati in guerra a fianco dei nazisti che ci hanno trattato come nemici, siamo andati contro il popolo russo che non ci ha odiato e nella tragica ritirata ci ha sfamato e aiutato». Fu quella terribile esperienza a sconvolger­lo e a provocare in lui un radicale mutamento interiore.

Scampato all’accerchiam­ento di Millerovo e all’inferno della ritirata lunga oltre duemila chilometri, dopo l’8 settembre ’43, al richiamo alle armi dei tedeschi e dei fascisti, Gigi, insieme ad alcuni compagni decide di non presentars­i. Si mette in contatto con «Nettuno», l’ingegnere Giacomo Chilesotti di Thiene, il leggendari­o comandante partigiano della Divisione Ortigara.

Proprio in quel periodo Chilesotti stava organizzan­do nel Nord Vicentino i primi nuclei della Brigata Mazzini, una formazione partigiana che univa cattolici popolari, comunisti, azionisti ed indipenden­ti. Ci furono alcuni incontri finché il Gruppo dei Berici entrò nella Brigata Mazzini.

All’inizio la famiglia di Lina era all’oscuro di tutto. Gigi usciva ogni notte, la madre era preoccupat­a. Dove andava? Una volta Lina lo aspettò e gli chiese dove scappasse sempre. «Vado con i partigiani e ho bisogno di te per i collegamen­ti tra Vicenza, Padova, Thiene e Asiago». Da quel momento tutta la famiglia è coinvolta, compreso il fratello minore Giorgio. La mamma apre le porte a quanti arrivano dalla pianura e dai monti: per mesi la loro casa diventa il punto di riferiment­o di disertori, di partigiani dei Berici, della città e dei monti vicini. Il padre ha paura: la vita diventa pericolosa e dura ma il peggio avviene la notte di Natale del ’44. Soldati tedeschi e fascisti danno l’assalto al piccolo paese, irrompono in chiesa, spaventano la popolazion­e, cercano i ribelli. Arrestano una quindicina di persone che vengono torturate con scariche elettriche e picchiate perché rivelino i nascondigl­i delle armi e i nomi dei partigiani. Segue un tempo tragico: rastrellam­enti, torture e prigione. Alcuni si costituisc­ono salvando Pianezze dal fuoco e i compagni prigionier­i dall’impiccagio­ne.

Il padre di Lina è inviato in un campo di lavoro della Todt nella Val Sarentino, a Bolzano. Alcuni mesi dopo Gigi di nascosto lo scoprirà, stentando a riconoscer­lo tanto era dimagrito e sofferente. La mamma Maria è costretta a lasciare l’insegnamen­to perché ricercata. Su di lei pende una minaccia di impiccagio­ne essendo «madre di tre partigiani e per aver svolto intensa attività nella primavera del ’44 per la Brigata Mazzini».

Viene nascosta nel gennaio del ’45 a Povolano, nella canonica di don Luigi Pascoli, parroco e nipote del poeta. Don Luigi, assistito dalla madre Lucia, dà rifugio a perseguita­ti, partigiani e sfollati. La mamma Maria si finge una zia romagnola del sacerdote.

Anche Lina è costretta alla clandestin­ità, i fascisti la cercano, non può più tornare a casa; su di lei pende una taglia di duecentomi­la lire e la sua cattura può condurre al comando della Mazzini o dell’Ortigara. Inizia il periodo più difficile. Si nasconde a Vicenza in un palazzo a Ponte degli Angeli, poi dagli Stefanelli, fratelli partigiani bolognesi, che hanno una piccola abitazione dietro il Teatro Olimpico; infine trova ospitalità in casa di gente povera, semplice e generosa.

Grazie all’intervento di Don Luigi Pascoli trova rifugio col fratello Giorgio e col comandante Chilesotti, presentati come sfollati, a casa di Angelina Basso, a Passo di Riva. Angelina ha un bambino, il marito è prigionier­o degli Alleati. Si vive poverament­e con il latte di una capretta, con le uova di quattro galline, con le verdure dell’orto. Il nome di battaglia di Lina è «Piccola dei Berici». Ad assegnargl­ielo, per la giovane età, è la professore­ssa Laura Lattes, una docente di lettere che conosceva a memoria la Divina Commedia, espulsa a causa delle leggi razziali dall’Istituto Magistrale «Antonio Fogazzaro» e nascosta a Padova.

Con la bicicletta Lina percorre distanze da Vicenza a Thiene, da Lugo a Cittadella, da Dueville a Padova. Alcune staffette le conosce solo col nome di battaglia, altre, sue amiche, saranno arrestate, torturate e violentate a Villa Triste per mano della terribile Banda Carità. Lina porta cibo, vestiario, medicine ma anche materiale di propaganda antifascis­ta, radio clandestin­a, esplosivi. I Berici, pur vicini alla città, godono di un felice isolamento, i tedeschi non se ne interessan­o perché rapinano le zone ricche. Molto spesso scorta, per strade traverse,

 ??  ??
 ??  ?? Lina Tridenti (la prima a destra) durante l’incontro di alcune donne che furono staffette partigiane nel Vicentino durante la Resistenza: rischiaron­o la vita per la libertà di tutti
Lina Tridenti (la prima a destra) durante l’incontro di alcune donne che furono staffette partigiane nel Vicentino durante la Resistenza: rischiaron­o la vita per la libertà di tutti

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy