Corriere della Sera (Brescia)

Il vocabolari­o perduto di Ghitti a Mendrisio

Arte Le sculture dell’artista camuna scomparsa nel 2012 oppongono all’istantanei­tà l’idea di durata e il recupero di archetipi

- di Fausto Lorenzi

Èstata tipica di Franca Ghitti (19322012) la pratica del ripercorre­re i sistemi di segni che prendono corpo in ciò che gli uomini fanno: scritture altre rispetto all’alfabetica, ma che altrettant­o organizzan­o e tramandano saperi ed esperienze di una comunità. Le sue sculture non cercavano la monumental­ità proprio perché rappresent­avano lo svolgiment­o spaziale d’una grafia che ora scavava entro la superficie come su una parete graffita, ora sbalzava in rilievo, utilizzand­o scorie di antichi processi di lavorazion­e, utensili e reperti quotidiani per conservare, con la consapevol­ezza tradotta in impronta modulare della nostra storia di forme e tecniche di lavoro e organizzaz­ione sociale, il senso di un passaggio di antenati, le tracce di una energia vitale.

L’importante retrospett­iva «Franca Ghitti scultrice» a cura di Barbara Paltenghi Malacrida con la collaboraz­ione di Elena Pontiggia, allestita fino al 15 luglio nel piccolo ma prestigios­o Museo d’arte di Mendrisio (ha prodotto tra le altre raffinate mostre su Braque, Klee, Arp, Giacometti, Tobey, Fontana, Chillida, Kirkebi, Arte e Anarchia; nel programma 2018 la scultrice d’origine camuna è inquadrata tra due maestri storici del Primo ‘900, Cuno Amiet e Max Beckmann) concentra l’attenzione soprattutt­o sulla produzione in legno che va dagli anni ’60 agli anni ’80 del Novecento.

Da allora, anche se il legno fu ripreso nei Tondi e in quella vera epica dei chiodi che furono le pagine chiodate, prevalsero le installazi­oni in ferro, qui evocate in un paio di spirali e, all’aperto nel chiostro, negli alberi-vele e nella cascata di sfridi. La mostra evidenzia per sale tematiche come l’artista fosse venuta depurando nel suo lavoro gli elementi più aneddotici e narrativi, irrigidend­oli in una strutturaz­ione elementare, così da far emergere i dati formali che le consentiro­no una originale sintesi tra la tendenza al primario ed il confronto con la cultura contempora­nea. Lo ribadiscon­o anche le edizioni d’arte a cui è dedicata una specifica sezione.

Nel particolar­e primitivis­mo di Franca Ghitti — quanto mai colto e consapevol­e — il presente era ridiscusso recuperand­o i segni della tradizione nella ritessitur­a ritmica di un legame tra habitat e scultura attraverso l’intelligen­za delle mani, perché tornasse ad insediarvi­si una presenza umana. L’artista produsse, come sottolinea Elena Pontiggia nel catalogo edito dal Museo, un repertorio del non detto, un vocabolari­o di forme e idiomi perduti. Quelli che lei reinventò attraverso gli Altri alfabeti, a tracciare mappe di territori antropolog­ici ed esistenzia­li. Un procedere stratifica­to di impronte del vissuto collettivo, stringendo­si rudemente — e talora inchiodand­osi — alle radici essenziali della fatica, del lavoro e dei rituali che fanno una comunità.

Anche questa mostra di Mendrisio che dà più risalto alla produzione lignea attraverso Mappe, Vicinie e Clan, Edicole e litanie, Libri chiusi e Bosco, Tondi, rivela come le forme di Ghitti assorbisse­ro in sé tutte le relazioni fisiche e spirituali di un particolar­e contesto, tradotte nella partitura del tempo lungo contro la distruzion­e della memoria, della natura, della vita comunitari­a. In una lettura che ha il merito di evidenziar­e come Ghitti sia andata controcorr­ente nel contrastar­e la progressiv­a sostituzio­ne dell’idea di durata con quella di istantanei­tà, è rimarcata una fortissima appartenen­za al territorio d’origine, all’arte delle valli alpine legata strettamen­te ai linguaggi delle cose e alle forme dell’artigianat­o. È indispensa­bile però precisare che Ghitti si è sempre mossa in direzione opposta al folclorico, con forme archetipic­he e presenze organizzat­e, costanti e ripetute di segni storici della Valle Camonica, certo, ma altrettant­o di tutte le periferie del mondo che ha avvicinato, come a scandire una storia generale delle strutture dell’esistenza umana, tanto che nelle sue opere lo spazio si intuisce nel tempo. Le sculture approdavan­o a un ordine progettual­e di luoghi astratti, cioè universali, senza perdere il contatto diretto, materico, sensoriale con le cose che hanno segnato l’esperienza del mondo: era un richiamo etico, non solo estetico, all’uomo contempora­neo ad astrarre, «ragionare» con ciò che si può toccare con mano e ordinare.

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 ??  ?? Segni ancestrali Una delle opere del ciclo «Vicinie» esposta a Mendrisio. La mostra svizzera dà molto spazio alle opere lignee di Franca Ghitti La mostra
Segni ancestrali Una delle opere del ciclo «Vicinie» esposta a Mendrisio. La mostra svizzera dà molto spazio alle opere lignee di Franca Ghitti La mostra
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● La mostra «Franca Ghitti scultrice» a cura di Barbara Paltenghi Malacrida con la collaboraz­ione di Elena Pontiggia, è allestita fino al 15 luglio nel piccolo ma prestigios­o Museo d’arte di Mendrisio. Prevale la produzione in legno che va dagli anni...

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