«I Miserabili» secondo Branciaroli
In«insenSatie», gli Upbit Motion rileggono i brani del compositore: «La sua musica respira, è libera»
Apiù di un secolo di distanza, Eric Satie riamane una personalità fortemente anomala nel mondo della musica colta. Assunto a tutti gli effetti tra i compositori cosiddetti classici, la sua musica, tuttavia, viene considerata più che altro un ponte tra le convenzioni musicali dell’Ottocento e l’avanguardia minimalista del secolo successivo. Prova ora il quartetto Upbit Motion — capitanato da due colonne del jazz bresciano, il sassofonista Angelo Peli e il pianista Roberto Soggetti — a darne una personale rilettura, presentando al Der Mast (10 maggio, ore 21, euro 12) il disco insenSatie, registrato nel centenario della nascita.
È nato prima Upbit Motion o insenSatie?
AP: «Il quartetto si è costituito nel 2015 in occasione di un concerto teatrale, con Giacomo Papetti, bassista che già conoscevamo e Marco Tolotti, batterista per noi assolutamente nuovo. Un anno e alcuni concerti dopo, quando ho proposto a Roberto di lavorare a un concept album, la scelta è caduta subito su Satie».
Come avete scelto il repertorio?
AP: «Ho dedicato settimane all’ascolto dell’integrale pianistica, annotando i brani che più mi colpivano e lasciavano intravvedere una possibile rielaborazione per il quartetto. Ma sono state importanti anche le letture: i Quaderni di un mammifero di Satie e i saggi L’idea non ha bisogno dell’arte. Erik Satie o il Tempo Ritrovato di Michele Porzio, in particolare, mi è stato di grande aiuto nella rielaborazione di Véxations».
RS: «Non ho voluto ascoltare nessuna interpretazione. Ho tralasciato ogni aspetto esecutivo, formale o espressivo e ho recuperato la nuda notazione, le frasi, i periodi, i germi melodici, per ricomporli in strutture formali che potessero ospitare episodi d’improvvisazione e ricondurre al linguaggio jazz».
Di Satie avete rielaborato soltanto le composizioni pianistiche.
AP: «Penso che le sue composizioni pianistiche consentano di avvicinarsi meglio alle materie prime utilizzate, elemento indispensabile quando s’intraprende un lavoro di rielaborazione».
RS: «È l’unico repertorio di Satie che conosco davvero, ma sono anche convinto che l’essenza del suo lavoro risieda fondamentalmente nelle composizioni per pianoforte».
In quale aspetto dell’estetica di Satie vi riconoscete meglio?
AP: «La sua musica respira: è sempre in equilibrio, sempre libera da qualunque enfasi. Ed è ciò che ho sempre cercato di raggiungere anche con la mia musica».
RS: «Trovo una particolare affinità nella sua capacità di gestire eventi casuali, e di divertirsi a osservarli. La sua musica possiede un generatore random simile a quello che i jazzisti utilizzano per improvvisare, e al quale reagiscono rilanciando e traendone ispirazione. È una cosa che avvicina Satie (e i jazzisti) al pensiero zen».
C’è un pianista interprete di Satie che vi piace particolarmente?
AP: «Jean -Yves Thibaudet e Aldo Ciccolini».
RS: «William Masselos».