Corriere della Sera (Brescia)

GLI ZOCCOLI E LE SCARPIERE

- di Pietro Gorlani pgorlani@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il miglior omaggio che i bresciani (ed i lombardi) possono fare ad Ermanno Olmi, ieri uscito fisicament­e di scena dal set della vita, è riguardare il suo «Albero degli zoccoli». Meglio se in presenza di figli o nipoti. È un atto di rispetto nei confronti delle nostre origini, dei tanti piccoli Mènec che hanno passato l’infanzia con un solo paio di zoccoli ai piedi. Alla faccia delle nostre scarpiere ricche di suole mezze intonse, dei tanti feticci del superfluo vissuti come necessari, di cui le nostre case sono ricolme. La visione di quel film, che — giusto ricordarlo — nel 1978 vinse la Palma d’Oro a Cannes, resta il miglior viatico verso una possibile decrescita cosciente, autoimpost­a, non certo subita. Un antidoto al virus dell’avere per essere che da tempo rosicchia le nostre menti, bulimiche di cose e sempre meno attente al rischio della miseria morale. L’era della povertà materiale regnante nelle nostre campagne è durata fino al Dopoguerra. L’arrivo della società consumista ha contribuit­o nel giro di due generazion­i ad un’opera di «rimozione» collettiva. Tanto che le sagre della civiltà contadina organizzat­e recentemen­te trovano un successo enorme, direttamen­te proporzion­ale alla distanza siderale con cui si interpreta l’era del maiale sgozzato nell’aia: un quadro naif dove la vita era fatta sì di duro lavoro ma era più vera, più intensa. Ci siamo allontanat­i così in fretta e così tanto dal nostro passato prossimo che nessuno di noi ha il ricordo (anche solo indotto) del freddo, della fatica immane, dei diritti così precari, dei chilometri a piedi necessari per arrivare a scuola. La pianura si è adeguata alla mutazione antropolog­ica. Le cascine di un tempo si sono svuotate, le stalle allontanat­e dai centri abitati (per ragioni sanitarie, certo) sono diventate vere e proprie aziende. Brescia è la prima provincia agricola d’Italia e alleva annualment­e 1,4 milioni di suini, più di 50 mila bovini, decine di milioni di polli e tacchini. La dimensione di una singola impresa agricola è lievitata rispetto a quella dove lavorava Batistì (il mezzadro che taglia di nascosto l’albero al padrone). I suoi «discendent­i» possiedono trattori potenti, centinaia di vacche da latte, quando un tempo ne bastavano una decina a dar da mangiare (e lavoro) a più famiglie. Ma —in balia dei prezzi di latte, carni, cereali, decisi da congiuntur­e economiche (e speculazio­ni) internazio­nali — si trovano a lavorare tanto quanto Batistì per poter spuntare redditi dignitosi. Chissà che non inizino loro a comprare un paio di sneakers in meno ai propri figli. In omaggio a Menèc. E ad Olmi.

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