«Ecco il mio Valjean, superuomo irrisolto»
«IMiserabili? È un libro che tutti conoscono, anche se forse pochi l’hanno letto», commenta Franco Branciaroli che da stasera (ore 20.30) sarà Jean Valjean nella riduzione che andrà in scena al Sociale, regia di Franco Però, adattamento di Luca Doninelli, produzione del Ctb con Teatro degli Incamminati e Stabile del Friuli Venezia Giulia.
«Ma la mia –—continua l’attore — è solo una partecipazione straordinaria. Parlo poco, solo qualche battuta, è un dramma corale, dovreste parlare con il regista». Ma come, nel romanzo Valjean è il protagonista? Branciaroli nicchia, poi si sbottona: come sempre provocatorio, illuminante, mai banale. «Hugo era un personaggio straordinario e grandioso. Voglio ricordare il suo Ruy Blas, allestito da Ronconi nel 1996, storia dell’amore impossibile tra una regina e un lacchè, ma anche del potere come sopraffazione e finzione. Aveva ragione Jean Cocteau: Victor Hugo è un pazzo che pensa di essere Victor Hugo». D’accordo, ma dei
Miserabili tra letteratura e teatro che possiamo dire? «Ci sono due cose interessanti, quasi inspiegabili, che sono alla base di un fascino potente. Si parla di Dio, argomento poco frequentato dal teatro contemporaneo. Da un autore che arriva dalla Rivoluzione, dall’Illuminismo, non te l’aspetti. Tutta la vicenda chiama in causa la Divina Provvidenza e i valori del cristianesimo. Valjean è un delinquente che si trasforma in benefattore sulla via delle redenzione. Un uomo votato alla spiritualità e al prossimo, un santo vergine. E questa è la seconda cosa misteriosa».
Possibile qualche ulteriore nota a margine? «Per Valjean sembra che il sesso sia men che zero, non ha mai avuto donne né uomini, nemmeno un legame platonico. C’è più sesso nei Promessi Sposi, è mai possibile? Vive con una adolescente, Cosette, roba che oggi sarebbe indagato. Rapporto paterno? Mah! A me vengono in mente Lolita e Humbert Humbert. Valjean è un portento: autodidatta, superuomo, prodigioso in tutto quello che fa, opera sempre con il Vangelo in mano. Rappresenta il bene, dicono, mentre il poliziotto Javert incarnerebbe il male. Non è esatto. Javert rappresenta il bene della giustizia. Il loro è uno scontro tra due tipi di bontà, quella laica e quella cattolica. Ma questo discorso nessuno lo vuol sentire, crea imbarazzo. Insomma, c’è qualcosa di enigmatico, di non risolto in lui, ma proprio questa complessità lo rende un personaggio immortale».Le repliche continuano fino al 20 maggio. (n.d.)