Tra testi e dubbi Mauro rilegge il sequestro Moro
Le cronache del sequestro in atti e testimonianze raccontate da Ezio Mauro
«Èstato l’11 settembre dell’Italia — spiega Ezio Mauro —. L’istante lungo 55 giorni che ha dirottato il cammino verso una democrazia finalmente compiuta. Perché con la morte di Moro, ben prima di Mani Pulite e della caduta del Muro di Berlino, finisce la Prima Repubblica». Debutta in prima assoluta questa sera ( ore 20.30) al Teatro Grande Il condannato. Cronache di un sequestro, reading teatrale di e con Ezio Mauro, già direttore de La Stampa e Repubblica, corredato da immagini dell’epoca. L’evento è organizzato dal Teatro in collaborazione con la Casa della Memoria. Lo spettacolo si basa sulla rilettura del corpus di materiali che a quarant’anni da quella tragedia abbiamo a disposizione: carte processuali, comunicati dei brigatisti, lettere inviate dal presidente della Dc, testimonianze e mappe dei luoghi che ancora oggi parlano di quanto avvenne in quella Roma plumbea del 1978. Un esempio di teatro di narrazione e di memoria.
« Quello che vedrete — spiega Mauro — è un teatro di cittadini che si riuniscono e riflettono su una pagina cruciale della nostra storia in cui l’attacco alla democrazia lascia una terribile scia di sangue: alla fine degli anni ‘70 si contano 600 morti e 3 mila feriti di terrorismo. Anni che si aprono con le bombe di piazza Fontana e si chiudono con la bomba della stazione di Bologna. Tra queste due date, tanti altri fatti luttuosi come la strage di Piazza Loggia. La nostra democrazia, per quanto imperfetta e fragile, è riuscita a vincere quella sfida capitale. Ma le sfide continuano, lo vediamo anche oggi».
Trattare o non trattare coni terroristi, la ragion di Stato contro l’umana pietas: cosa rimane di quel dilemma che divise allora l’opinione pubblica?
«Oggi leggiamo le lettere di Moro dal carcere come un documento storico. C’è qualcosa di sacro nelle parole di un prigioniero inerme che chiede soltanto di continuare a vivere. E questa sacralità fa sembrare astratta e fredda la ragione di Stato, ma nello stesso tempo abbiamo il dovere di chiederci: chi viene domani dopo il prigioniero di oggi? Dove si ferma il ricatto dei terroristi? A garanzia di tutti lo Stato deve poter decidere in totale libertà senza costrizioni, perché questa è l’unica garanzia per poter decidere nell’interesse di tutti. Naturalmente tutti i dubbi sono leciti. Io allora decisi per la fermezza, non ho cambiato idea, ma capisco la tragedia di chi decidere quando in gioco c’è la vita di una persona».
Dopo quarant’anni il caso è chiuso o rimangono zone d’ombra?
«Si ha l’impressione che due commissioni parlamentari non abbiano fatto chiarezza. E che quattro processi abbiano stabilito una verità giudiziaria che si basa prevalentemente sul racconto dei terroristi, unici testimoni. Le parole del figlio, Giovanni Moro, suonano come un monito per tutti: mio padre, ha detto, continua ad essere un fantasma fisso della scena italiana per due pregiudizi opposti: uno è il relativismo per cui tutto è plausibile, anche le spiegazioni che non stanno in piedi; il secondo è la dietrologia per cui nulla di ciò che appare è vero ed è vero solo ciò che appare».
Info: teatrogrande.it.