Corriere della Sera (Brescia)

QUELLE VERITÀ CHE VINCONO

- Di PIno Casamassim­a

Alla fine, la Storia vince sempre, perché, come dice De Gregori, «La Storia non ha nascondigl­i, non passa di mano». Ci sono voluti oltre quattro decenni perché la verità giudiziari­a su Piazza Loggia coincidess­e con quella storica, che già all’epoca conoscevam­o (ricordate, «Io so» di Pasolini?), ma alla fine, la Storia ce l’ha fatta: Tramonte e Maggi ci indicano appunto quei due «percorsi criminali» di cui sapevamo. Lo stesso è successo con Moro, nonostante attorno al suo cadavere continuino a volteggiar­e avvoltoi per cavarne brandelli utili alla sopravvive­nza delle loro tesi (anche le più fantasiose). Mutatis mutandis: c’è stato chi, sulla strage di piazza Fontana, ha avanzato la teoria bislacca della doppia bomba: una per i neofascist­i, una per gli anarchici. Le prove? Nessuna (ovviamente). Su Moro — come su piazza Loggia — sappiamo tutto, da ben cinque processi. E da due commission­i parlamenta­ri: nel 2014 ne fu istituita una nuova che avrebbe dovuto «svelare i veri retroscena». Un’operazione di revisione buona per fiction e libri per spettatori e lettori di bocca facile: ché, di fatto, nulla di nuovo è stato svelato, se non tesi senza prove, appunto. Sul caso Moro — di cui quest’anno ricorre il quarantenn­ale — la Storia ha fatto giustizia da tempo. Per verificare quanto non sia servita a nulla l’ultima commission­e basta leggerne gli atti, in cui sono rintraccia­bili alcuni passaggi perfino risibili. Da quando ci si accosta in età scolare, s’impara che la Storia è materia che si nutre di documenti (essendo il resto verba volant). Così come dalle carte sulla strage di Brescia alla fine è emersa chiara la duplice matrice dei servizi deviati e del neofascism­o veneto, da quelle sul caso Moro ne sono state accertate le responsabi­lità – peraltro ammesse da tutti i brigatisti (e fra loro tutti «scompagnat­i» dal momento della loro cattura, a maggior vantaggio della veridicità delle loro affermazio­ni, salvo Franceschi­ni, che però era carcerato dal 1974). Innegabilm­ente, ci sono dei coni d’ombra destinati a restare tali: come per JFK, ma pure per Marat, e Riccardo III, eccetera. Perché il cesaricidi­o — dalle idi di marzo in poi — porta sempre con sé una pattuglia più o meno acrobatica di avvoltoi. Rapaci che tentano di cavarne un po’ per sé, di quella gloria finita a coltellate o con 11 proiettili. Credo che il modo migliore (più onesto) di rendere onore a chi è stato attraversa­to dalla Storia nelle carni e nei ricordi di chi resta, sia quello di esercitare la memoria attenendos­i alle carte. Il resto, tutto il resto, sono verba volant (chiacchier­e da bar).

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