SCUOLA, IL FUTURO È FARE RETE
La scuola bresciana, ripromossa dal Ministero in seconda fascia, dispone da poche settimane di un Provveditore a tempo pieno, dopo anni di reggenza: un attestato che riconosce un patrimonio, solletica l’orgoglio e alza l’asticella dell’impegno. Lo stesso nuovo «capo» provinciale della scuola, Giuseppe Bonelli, non nasconde, da milanese, di aver sempre guardato alla nostra realtà riconoscendo una tradizione di eccellenza e ieri mattina, nel primo incontro ufficiale con i dirigenti scolastici, ha voluto ribadire che la centralità della governance si sposta dalla sede provinciale alle scuole, capaci di gestirsi da sé con competenza e laboriosa fuga dal clamore: non a caso ha invitato all’epicureo «vivere nascostamente». I riconoscimenti alimentano l’autostima, ma inducono a guardarsi allo specchio. Sarebbe corretta ma parziale una narrazione che restituisca l’immagine di un modello che è stato di riferimento nazionale solo grazie allo slancio dei fondatori, alla passione educativa missionaria di chi ha gettato le fondamenta, perlopiù nel mondo cattolico come espressione di promozione evangelica. In realtà, fin dal nascere delle intuizioni che hanno prodotto esperienze guida, è stato chiaro il dovere di coniugare la spinta di solidarietà con il rigore della preparazione: prima e intorno alle scuole sono fioriti studi pedagogici, riviste professionali, è stata fondata una casa editrice e poi una sede universitaria a ciò versata, convegni e attività formative e un largo movimento di persone intese ad essere educatori ma non meno qualificati professionisti dell’insegnamento. Adattati ai tempi e agli strumenti, sono ancora questi gli ingredienti che possono fare di una scuola efficiente, qual è senz’altro la nostra, una scuola di qualità: formazione e occasioni di sperimentazione, che a loro volta richiamano energie collaborative tra scuole e intorno alle scuole. C’è bisogno di fare rete, di condividere e confrontarsi, di trovare interlocuzione fuori dalle aule, con le famiglie, con le associazioni, le aziende, i Comuni. Il legislatore induce in tal senso, con l’introduzione delle Reti di ambito, pensate per valorizzare insieme le risorse professionali, per la gestione comune di funzioni amministrative, per la realizzazione di progetti didattici. Ma il vero salto culturale di abbassare il ponte levatoio e aprirsi al territorio è ancora da compiere. O forse da ritrovare nella propria storia.