L'INTEGRAZIONE DELLE BRACCIA
Sono passati 12 anni dal delitto di Hina – la giovane pachistana uccisa da padre, zio e cognati, perché innamorata di un operaio nonpachistano e soprattutto nonmusulmano. Fra i tantissimi accadimenti di vario genere succedutisi da quell’agosto del 2006, c’è l’ininterrotta e drammaticamente monotona sequenza di atti terroristici messi a segno dall’Isis e da quei seguaci sparsi ovunque che vedono nella modernità occidentale l’incarnazione demoniaca del male. Quel Male che aveva contagiato Hina fino a rendere necessaria la sua soppressione. Quel Male che 12 anni dopo avrebbe infettato di usi e costumi blasfemi pure Sana, anch’essa cresciuta a Brescia e uccisa in Pakistan dopo esservi stata attirata con l’inganno. Copione replicato: i suoi carnefici sarebbero padre, fratello e uno zio. Manco a dirlo, l’omicidio è conseguente a un malinteso senso dell’onore. Una motivazione inaccettabile anche per il Pakistan, dove i criminali sono stati arrestati e hanno confessato. Più che confessato, rivendicato, sempre per quel primitivo senso della salvaguardia di tradizioni che per noi occidentali rimandano a un vecchio testamento superato dal Vangelo. Oltre a deficitare di una rivoluzione francese che separi nettamente la laicità dello Stato dalla religione, l’universo mondo musulmano pendola fra più interpretazioni di quelle scritture che gli islamisti più tradizionalisti continuano a percepire nella più primordiale, prescindendo dai governi che si susseguono. Succede infatti – e questi drammi ne danno conferma – che l’appartenenza a un territorio occidentale (nella fattispecie bresciano) non affranchi dall’appartenenza a una subcultura primitiva. E ciò accade perché l’integrazione passa solo sotto il profilo economico nel libero, liberissimo mercato delle braccia ma dietro le braccia ci sono uomini. In questo caso, uomini che mantengono come riferimenti culturali quelle tradizioni (violente) da padre-padrone all’interno delle famiglie, seppur fuori legge anche nei loro paesi. Le responsabilità sono tuttavia reciproche. Loro: per essere interessati solo a una integrazione economica. Nostre: per non aver ancora ben capito e organizzato la multietnicità cui è – comunque – destinata la nostra società. Una dozzina d’anni fa partecipai a un progetto europeo di didattica per stranieri: in Italia da molti anni, un pachistano non conosceva la nostra lingua. In fabbrica parlava solo con un connazionale, a casa guardava una tv del suo paese.