L’ex killer ora costruttore «andato oltre ogni decenza»
di analisi della documentazione, amministrativa e contabile, sequestrata presso oltre 40 società. E ancora indagini bancarie che hanno permesso di ricostruire la struttura aziendale «ideata da Malaspina», attraverso una serie di rapporti fiduciari con una schiera di prestanome. Figure decisive, per l’attuazione del piano illecito, che si intestavano quote societarie, e che rivestivano cariche amministrative all’interno delle diverse aziende facenti capo al costruttore calabrese. «Ce ne vuole uno sui 60, 70 anni, un po’ sfigato, che firma senza fare domande», dicono gli indagati a proposito di queste «teste di legno».
Ma tutto questo sistema non avrebbe potuto esistere senza i collaboratori di Malaspina. I suoi avvocati Fabiola Sclapari, «al completo servizio degli scopi criminali» (la donna scoperta col bagagliaio della macchina carico di documenti da far sparire), e Gerardo Perillo, ex magistrato della sezione fallimentare a Monza, che millantava grandi entrature a palazzo di giustizia grazie ai suoi trascorsi. Il consulente finanziario Roberto Licini, l’uomo di fiducia Giorgio Spinelli, Adriana Foti, ex moglie intestataria di cariche e quote societarie, il commercialista Antonio Ricchiuti, geometri, ingegneri che redigevano false perizie, le impiegate storiche.
Tutti complici in una situazione che andava a rotoli. «Gli impicci ti arrivano comunque», dice l’avvocato Perillo a Malaspina, «una in più una in meno, lo sappiamo tutti che sono società fallite». Notizie, aggiornamenti, foto e video su quanto accade in Lombardia sul nostro sito MONZA Quarantasei anni fa esatti. Era il 21 maggio del 1972 quando, davanti al bar «Zurich» di via Libertà, a Muggiò, sull’asfalto resta il cadavere di un uomo: Santo Zampaglione, calabrese di Fossano Ionico, emigrato in Brianza. Sei colpi di pistola, di cui quattro andati a segno. Uno dei due killer ha 19 anni. È un lontano cugino della vittima: Giuseppe Malaspina, originario di Montebello Jonico, Reggio Calabria. Omicidio per questioni di malavita.
Altro scenario, all’alba di ieri, ancora il 21 maggio. La Finanza si presenta alla porta dello stesso uomo, che deve compiere 65 anni a luglio. L’ex ragazzo di Muggiò oggi vive in una villa faraonica ad Arcore con Adriana Foti, la moglie dalla quale è ufficialmente separato.
Quadri alle pareti, giardino con piscina, un salotto smisurato, marmi ovunque, tappeti pregiati, arredi in stile classico. Le Fiamme Gialle hanno in mano oltre 1.000 pagine di ordinanze di custodia cautelare in carcere, con 130 capi di imputazione.
Reati fiscali, bancarotta, riciclaggio. Roba da colletti bianchi, non più da gangster. Perché ne ha fatta di strada Giuseppe Malaspina, da quella notte del ’72. Da quelle storie di «esistenze scapestrate», come le definiva all’epoca il Corriere. Una sparatoria nata per una presunta «soffiata» che la vittima aveva fatto su una rapina.
Quarant’anni dopo, è uno dei tre più grossi costruttori della Brianza. Uno a cui hanno sequestrato le quote di un hotel di Venezia, il Ca’ Sagredo, cinque stelle e gli affreschi del Tintoretto alle pareti (valore stimato: 75 milioni di euro). E un ex albergo dietro piazza della Scala, il Gritti, e una lussuosa tenuta con camere e maneggio immersa nel verde a Ornago, nel Vimercatese.
Uno il cui senso della proprietà, per dirla con parole di uno dei suoi collaboratori arrestati, «va oltre ogni senso della decenza».
Dopo aver scontato 14 anni per l’omicidio, Malaspina, costruisce un impero. Sono anni di boom edilizio. Soldi facili, a volte «soldi sporchi». Anni di faide e regolamenti di conti da Desio e Vimercate. I Romeo, i Lugarà, la famiglia Miriadi. Sarà quest’ultima che in anni recenti incrocerà la sue strade con Malaspina. In particolare Giovanni e Assunto Miriadi (figli di Assunto, ucciso nel 1990 a colpi di mitra) che verranno condannati per estorsione con l’aggravante del metodo mafioso a danno di Malaspina (e per il tentato sequestro del fratello di questo), per una contesa su un terreno che nasce molti anni fa.
E sarà lo stesso Malaspina, in una delle tanti operazioni di ‘ndrangheta degli ultimi anni, che cerca la mediazione del calabrese Bartolo Foti per tentare di dirimere la questione coi Miriadi. Nel frattempo lui costruisce ovunque, relazionandosi con politici locali di ogni colore che concedono permessi edilizi su cui si concentrano ora gli inquirenti.