Du Pasquier, un’uscita d’insicurezza tra materia e illusione geometrica
Le sue sono forme sospese, in bilico tra fisico e immateriale, ispirate all’esistente e intrise degli echi morandiani. Con le campiture piatte e le trame ossessive, i vasi, i telefoni e i feticci di Nathalie Du Pasquier trascendono la mera riproduzione tecnica e iperrealistica per lambire una formalità astratta, emanatrice di accezioni recondite. Pittrice e designer francese (Bordeaux, 1957) arrivata in Italia negli anni Settanta da ragazza au pair e diventata l’amazzone del Gruppo Memphis tra semi-dei come Sottsass, Mendini e Branzi, l’artista ha portato da Apalazzo gallery (piazza Tebaldo Brusato, fino al primo settembre) la sua Uscita d’insicurezza: reliquie domestiche — vasi, lampade, bicchieri — reinterpretate in una sintesi irriverente e modernista del cubismo e del futurismo che evoca Léger o Depero. Forme abitudinarie assottigliate in sintagmi liberatori, cristallizzati in un tempo assente — «il tempo delle linee rette» dice l’artista — e in uno spazio immobile, quasi metafisico. «Tutti i momenti trascorsi questo inverno a dipingere in studio sono stati preziosi. Il lavoro è cambiato, i primi quadri astratti post nature morte si sono trasformati. Ho lasciato stare il piano sul quale erano appoggiati i volumi. I nuovi quadri credo si relazionano più allo spazio, sono più astratti» ha detto l’artista in una conversazion e con Luca Lo Pinto. Al centro della sala, a insinuare uno sfasamento visivo e un ossimoro cromatico, una cabina che «mette insieme la pittura del fuori ad una installazione monocroma all’interno, una cosa rumorosa fuori e una cosa silenziosa dentro».