SCUOLA: LE COSE DA FARE
Al Ministero dell’Istruzione arriva come ministro un dirigente scolastico, Marco Bussetti. Dopo manager, rettori universitari, una sindacalista, è stato nominato un uomo di scuola, già in cattedra e fino a ieri nella macchina dell’Ufficio scolastico lombardo. Un fatto che costituisce insieme una sorpresa, una buona notizia e un’aspettativa alta. La sorpresa è che in un governo che si dice di cambiamento, la poltrona di viale Trastevere non sia stata oggetto di interesse della forza politica più sensibile all’innovazione tecnologica, il M5S, che aveva presentato un ministro in pectore, il professor Salvatore Giuliano, promotore di «Book in progress», una rete di scuole che produce materiali didattici sostitutivi ai libri di testo. Al posto di un innovatore, per dirla male, un burocrate del sistema. E tuttavia questa è una buona notizia per i docenti, perché Bussetti rappresenta la scuola militante, conosce l’odore del gesso e gli spazi angusti delle aule scolastiche, non potrà non essere un interlocutore competente di domande accolte frettolosamente dalla «Buona scuola», legge ottima di principio, ma claudicante nell’attuazione pratica, perlopiù per scarsa attenzione al confronto. Bussetti arriva al Ministero alla vigilia dell’ultima campana di un anno che è stato di attesa, troppo segnato dalla campagna elettorale e poi dalla lunga formazione del governo: riceve in eredità nodi intricati, primo fra tutti la questione dei diplomati magistrali e, in generale, del precariato, per non dire del concorso per dirigenti, della continuità degli insegnanti di sostegno e dell’alternanza scuola-lavoro tutta da rivedere.
Ma l’aspettativa esigente è che non saranno interventi meramente normativi a risolvere i problemi: la scuola italiana dispone della classe docente più scolarizzata della sua storia e tuttavia la meno riconosciuta, che si trova a fronteggiare emergenze educative mai così deflagranti. A fronte di una forte riduzione della popolazione scolare, stimata a 900 mila alunni in meno nei prossimi dieci anni, necessitano nuove competenze pedagogiche e psicologiche a sostegno del sapere disciplinare, vale a dire la riforma del reclutamento e nuove figure a supporto della docenza. In definitiva risorse economiche aggiuntive: un problema che potrà diventare opportunità, se si saprà investire sulla qualità.