La meccanica sembra fuori dalla crisi
Export aumentato quasi del 10%
Sul campo sono rimaste tante vittime, ma la crisi degli ultimi anni a questo punto pare superata. Benché a fatica l’industria metalmeccanica bresciana rialza la testa. Il quadro del comparto è fornito dall’indagine congiunturale presentata ieri dai responsabili dell’ufficio studi di Aib. Un’analisi che dimostra l’innegabile «peso» della metalmeccanica: il 59% delle imprese manifatturiere (8.204) è del settore e occupa il 69% (98.385) di tutta la forza lavoro del comparto. Numeri che mettono Brescia sul terzo gradino del podio in Italia, ma al primo posto se si tratta di metallurgia e prodotti in metallo e al secondo per macchinari e apparecchiature.
Con molte difficoltà ma si sta risalendo la china e l’industria metalmeccanica bresciana rialza la testa. Gli anni bui delle crisi sembrano definitivamente superati anche se sul terreno sono state lasciate tante vittime. Nel commento «è dura ma ce la faremo» della presidente di Federmeccanica di Aib, Gabriella Pasotti e della collega Loretta Farelli alla guida dei metallurgici, c’è la sintesi dell’indagine congiunturale presentata ieri dai responsabili dell’ufficio studi di via Cefalonia, Caterina Perugini e Davide Fedreghini. Un’analisi che dimostra l’innegabile «peso» della metalmeccanica rappresentata da due dati: il 59% delle imprese manifatturiere (8.204) è del settore e occupa il 69% (98.385) di tutta la forza lavoro del comparto.
Numeri che mettono Brescia sul terzo gradino del podio in Italia dopo Torino e Milano ma al primo posto se si tratta di metallurgia e prodotti in metallo e al secondo per macchinari e apparecchiature. Immancabile quindi la superiorità della produzione metalmeccanica rispetto al totale del manifatturiero che dalla sua ha però l’aver reagito meglio al picco della crisi del 2009. L’alta qualità dei prodotti «made in Brescia», ha favorito il commercio con l’estero che lo scorso anno ha complessivamente superato i 12.2 miliardi (77% del totale) soprattutto grazie alla metallurgia (+ 19% sul 2016) con l’elettromeccanica e i macchinari che hanno superato i valori pre crisi mentre i mezzi di trasporto e i prodotti in metallo stanno completando la rimonta.
Di fatto il contributo alla crescita dell’export bresciano dell’industria metalmeccanica è dell’8,7%. Unica pecca è forse l’eccessivo peso dell’Unione Europea che accoglie quasi il 67% dei nostri prodotti.
Altrettanto innegabile è come la lunga crisi abbia colpito pesantemente l’occupazione del settore. Stando ai dati Aib, dal 2007 al 2015 la metalmeccanica ha «perso» oltre il 10% di lavoratori (11 mila) con l’unica eccezione per il comparto dei macchinari che registra un +7% di assunzioni. Una crisi che si legge anche dalle ore autorizzate di Cig scese dal picco di oltre 18 milioni del 2010 al milione e 134 mila ore dello scorso anno. Analizzando poi le componenti più economiche delle 343 aziende metalmeccaniche prese a campione, l’ufficio studi ha evidenziato ricavi per 15.742 milioni e un rapporto di indebitamento rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni. Ad essere andato decisamente meglio è stata la «sostenibilità» del debito scesa per il settore, dal 12,7% del 2012 al 6,5% del 2016 con una riduzione riscontrabile in tutti i quattro comparti considerati. La redditività del capitale investito, con l’ unica eccezione dell’ elettromeccanica negli ultimi due anni è sostanzialmente stabile, è in crescita. IlRoi finanziario del totale dell’industria metalmeccanica è passato dal 6,1% del 2012 al 7,8% del 2016. Il tutto in un contesto generale per fare impresa, non certo dei più semplici. Stando infatti all’ultimo rapporto della Banca Mondiale, l’ Italia è al 46esimo posto nella classifica internazionale del «doing business» ben dietro ai nostri diretti competitor come la Germania (20esima), la Spagna (28esima) e alla Francia (31esima). Ed i «mali» sono quelli di sempre e riconducibili al «sistema Paese»: alta burocrazia, difficile accesso al credito, giustizia lenta e tasse. A queste difficoltà si aggiunge il cronico «nanismo» delle nostre imprese che porta ad una inevitabile limitazione agli investimenti in innovazione e a una conseguente produttività del lavoro che non regge il confronto con i concorrenti. Spiegati quindi i motivi per cui nella classifica dei Paesi più attrattivi per gli investitori stranieri siamo solo al decimo posto. Ed ecco allora le reti d’impresa e la necessità di fare sistema. E non solo per acquisire nuovi mercati ma anche, ad esempio, per la formazione o la ricerca in innovazione.