«Mai picchiato nessuno dei ragazzi»
Arriva a Palazzo di Giustizia pochi minuti dopo le dieci. Ed entra dall’ingresso posteriore, per evitare flash e cronisti. Scortata dai carabinieri, in mano un foglio con qualche appunto. In aula, suor Rosalina Ravasio parlerà e risponderà alle domande (incalzata dal presidente Roberto Spanò) per circa due ore.
Sosterrà, all’inizio, che coloro i quali l’hanno accusata di averli maltrattati, sono persone che lei stessa avrebbe cacciato da Shalom. E che poi l’avrebbero pregata di essere riaccolti («va bene la misericordia, però c’è un limite...»). Una sorta di vendetta, quindi. I toni moderati, la voce decisa, qualche inclinazione dialettale, non si contraddice. E nega ogni addebito. «Non ho mai maltrattato i miei ragazzi. Le mani legate alla carriola? Ma figuriamoci».
La premessa: «Io sono il “cesso” dove tutte le persone che hanno problemi e dipendenze arrivano. Vengono da me e io li prendo, per non lasciarli sulla strada. Spesso in stato di assoluto degrado, talvolta psichiatrici, addirittura da altre comunità». Di fronte alla contestazione di sequestro di persona nessuna esitazione: «Chi voleva andarsene lo faceva. E chi scappava prendeva la scorciatoia per evitare la responsabilità di un confronto». Ma se erano minorenni «capitava uscissi anch’io a cercarli»; in caso contrario «aspettavo, con il rosario in mano, e non dormivo fino a quando non riuscivo a capire cosa fosse successo». A recuperarli non erano propriamente le forze dell’ordine, «ma Gesù», in un certo senso. Le fughe, spiega suor Rosalina, aumentano in modo fisiologico con l’allargarsi della stagione, in primavera o estate. «Sì, è vero, ero io a decidere. Ero il capo e bisognava passare da me. Ma vi assicuro che chi non voleva rimanere a Shalom, quando si trattava di casi non recuperabili, se ne andava e basta».
E le parolacce? «Mai dette». O meglio, qualcuna magari sì. Di sicuro «mer..»: «Ma sono autorizzata, controllate pure, questa parola è scritta nella Bibbia». Insomma: «Mai ho messo le mani addosso a qualcuno», solo un dito appoggiato dritto sulla fronte con un imperativo: «Ragiona, devi ragionare». Non pervenuta la tanto discussa «cristoterapia» nominata dallo psicoterapeuta: «Mai sentito questo termine». Nell’interrogatorio dell’imputata (l’unica a farsi sentire) rientra anche il ritratto di alcuni «casi umani», tra i quali un uomo «che si aggirava nella struttura come un fantasma: mi sono chiesta se Gesù l’avrebbe mandato via. No, l’avrebbe tenuto. E allora l’ho fatto rimanere». Come è successo per Gianmarco Buonanno: «L’avevo visto alla festa di un Capodanno alternativo, ed era totalmente “miscelato”» ricorda la suora. Sì, miscelato. Cioè alterato, diciamo. Per questo, come spiegato dal pm, pare non lo vedesse di buon occhio. Non l’ospite ideale, insomma. «Ma ci ho parlato dopo il suo arrivo, era tranquillo». Ed è rimasto.
Le punizioni: «Nessuna, se non togliere sigarette e videocassette» a chi non rispettava le regole. E la legna? «Era uno sfogo per i più irrequieti. Il 99% di loro ci chiedeva di farla, di sfogarsi all’aperto piuttosto che lavorare in laboratorio. Come avrei potuto mandarli a dormire in stato di agitazione? Non sarebbe stato sicuro. Parlavano per ore, con gli operatori, per calmare ossessioni, paranoie e manie persecutorie».
In aula viene spiegato anche «il senso» dell’esistenza di un comitato etico (di cui da anni fanno parte magistrati e personaggi noti, capo procuratore compreso): «Proprio per certificare la legalità della struttura».