Del Bono: è stata premiata la democrazia orizzontale
I progetti del sindaco: «Giunta entro due settimane Ricomincio dalla Caffaro e dai custodi nei parchi»
Premiati da partecipazione, umiltà e dai risultati, non solo in centro, ma in tutta la città. Sono i tre fattori che, secondo il sindaco Emilio Del Bono, gli hanno spalancato per la seconda volta il portone della Loggia.
Sindaco Del Bono, a questo punto non c’è scaramanzia che tenga. Può confessarlo: se l’aspettava una vittoria al primo turno e di queste proporzioni?
«Lo ammetto: venerdì, sabato e domenica sì, ci ho sperato. Me lo sentivo. Sono cose che solo un politico può capire, è il sentiment. Sentivo l’aria, in modo rabdomantico avvertivo l’umore della città».
Merito dei social o dei contatti vis à vis?
«Del contatto con le persone. Quanto incroci cento persone e cinquanta ti fermano e ti dicono “Avete fatto bene, ci aspettiamo ancora tanto da voi, ci fidiamo”, e capisci che in questo messaggio non c’è finzione o piaggeria ma autenticità, ebbene allora capisci come potrebbe andare a finire il voto».
Il primo complimento che ha ricevuto?
«Quello di mia moglie, accompagnato da una battuta simpatica: “Finalmente sabato e domenica possiamo andare in Valcamonica”. È da gennaio che non ci andiamo, che dedico tutti i fine settimana a incontri e appuntamenti in città».
I complimenti più inattesi o che le hanno fatto più piacere, dopo quelli della moglie?
«Quelli di Carlo Verdone, che è stato a Brescia ormai quattro volte, e con il quale ci sentiamo spesso: è nato un vero e proprio feeling. E poi Gianrico Carofiglio, intellettuale raffinato, che è stato a Brescia due volte recentemente: anche con lui s’è creata una bella sintonia. E poi naturalmente quelli di Paolo Gentiloni: un amico, una persona seria, un bravo presidente del
Consiglio».
Ci dica tre motivi che l’hanno e vi hanno fatto vincere.
«Primo, il metodo con cui abbiamo governato: la partecipazione. Costa una fatica pazzesca ma io credo nella democrazia orizzontale. Non la democrazia virtuale nè quella verticale, ma quella in cui le persone in carne e ossa partecipano. Le assemblee di progettazione partecipata e il dialogo con i Consigli di quartiere sono stati essenziali. Il secondo è stata l’umiltà: per quanto io abbia un carattere forte, anche scontroso, sono disposto all’ascolto e interessato a interagire con chi avanza critiche e proposte. Infine ci sono stati i risultati dentro la città, e non solo il centro: la mia attenzione è stata rivolta a dare risposte diffuse. Non c’è zona che non abbia visto — dalla bonifica a Bicimia a una rotatoria — gli effetti dell’azione amministrativa».
Il voto di Brescia si presta anche a un’analisi politica. Il dato più eclatante, a suo avviso?
«Siamo riusciti a intercettare il voto grillino, che a Brescia è attento ai temi ambientalisti, alla partecipazione, alla credibilità delle persone. Abbiamo cavalcato i loro temi e così facendo abbiamo tolto spazio politico ai grillini: non si è trattato solo di campagna elettorale ma di un’azione politica durata cinque anni. Ho rispettato le loro motivazioni, che pongono domande politiche giuste e non ideologiche: dando risposte ho recuperato il loro consenso. Il secondo aspetto è che abbiamo recuperato il voto moderato: lì in effetti mi si è aperta una prateria che purtroppo non capisce
Complimenti I più graditi sono stati quelli di mia moglie, del regista Carlo Verdone, dello scrittore Gianrico Carofiglio e del mio amico Paolo Gentiloni
Chiave politica Abbiamo intercettato le ragioni grilline e l’elettorato moderato: l’abbiamo fatto però in modo dolce, non con l’arroganza di Renzi
Proiezione nazionale Non mi interessa una proiezione nel Pd nazionale però mi piace il rapporto con i sindaci. La lezione del voto? Tornare a una politica popolare
il Pd nazionale. L’elettorato di Forza Italia è in crisi: o si fa risucchiare dalla forza del linguaggio leghista oppure cerca una nuova leadership».
Sta dicendo che lei ha fatto il Renzi di Brescia?
«Un po’ sì, ma lui ha scelto un atteggiamento fatto di strafottenza e arroganza che è diventato un boomerang. Io ho fatto ricorso al soft power, l’ho fatto in modo dolce, mai aggredendo, mai da estremista».
Immagina per sé una proiezione politica nazionale?
«No, non ho niente da insegnare, ho il senso della misura. Il caso Brescia non è esportabile. Voglio fare il sindaco, non il grillo parlante».
Un pensierino per l’Anci? «Il lavoro con i sindaci, i colleghi, quello mi interessa molto. Fra sindaci ci si capisce, facendo il sindaco assumi un altro punto di vista. Io sono municipalista, forse per questo intercetto anche una parte del voto autonomista. L’Italia è la Repubblica delle autonomie e la sua ricchezza sta nelle sue diversità».
Una lezione per il centrosinistra, però, da Brescia viene.
«È la lezione che dice che va fatta una politica popolare, che interessi tutti i ceti. C’è un pezzo di popolazione che si è consegnato alla Lega ma bisogna parlare con tutti. In questo la mia origine, la mia radice popolare, mi aiuta».
Che tempi e che criteri si assegna per fare la nuova giunta?
«Un paio di settimane. Sarà un mix di continuità e di cambiamento, di sensibilità politiche e competenze tecniche».
Nessuno avrà il coraggio di tentare di condizionarla...
«No di certo. Ma anche l’altra volta è stato così».
Come conta di stupire i bresciani all’inizio del nuovo quinquennio?
«Diciamo che vorrei partire da due temi: la Caffaro e i custodi nei parchi».
Il centrosinistra dopo il voto di Brescia dovrebbe ripartire dai sindaci?
«Dai territori, soprattutto».