Rivive il legame di Rigoni Stern con il suo «Vistù»
All’inizio prevalsero il mutismo, l’isolamento, la voglia di dimenticare: «Noi pochi sopravvissuti non volevamo parlare e non cercavamo nessuno». Poi le voci dei commilitoni che «non erano tornati a baita» cominciarono a farsi sentire prepotentemente, a reclamare un ricordo e una testimonianza. Infine giunsero i racconti scritti delle ferite di guerra, delle battaglie insensate, dei congelamenti, delle morti nella tormenta. Fino alla conclusione di quell’anabasi popolare che fu la ritirata di Russia: «Dopo giorni e notti uscimmo dalla steppa. Uscimmo come sassi rotolati dal torrente della guerra». Sta tutta lì l’epopea alpina che ha trovato in Mario Rigoni Stern il suo cantore più alto. Epopea che ora rivive, per frammenti che mandano iridescenze umane e letterarie bellissime, nel volumetto «Racconti vestonesi. Ricordi del sergente 1974-1992» edito da Grafo che viene mandato in stampa grazie al Comune di Vestone, al Gruppo Avis Valsabbino, al Gruppo alpini di Vestone a di Nozza, e grazie alla curatela — puntuale e partecipe — di Giancarlo Marchesi (la presentazione oggi alle 17.30 nell’auditorium Mario Rigoni Stern con interventi del curatore, della giornalista Nunzia Vallini e letture di Stefano Corsini).
Quello fra lo scrittore di Asiago e gli alpini del Vestone è un rapporto scritto nella storia: aggregato al battaglione grazie all’amicizia con il capitano Bracchi che lo comandava, Rigoni Stern si trovò ad affrontare con il «Vistù» tutta la campagna di Russia. Ne cantò le gesta nel «Sergente nella neve», in ricambio ne ricevette la cittadinanza onoraria consegnatagli il 2 ottobre 1977 e una rete di amicizie imperiture che ebbero nel farmacista (vestonese d’acquisizione) Felice Mazzi il suo fulcro. Non a caso Vestone (insieme all’Imperial War Museum di Londra) conserva uno dei manoscritti del «Sergente nella neve» oltre a lettere, scritti autografi e al testo di una fondamentale conferenza sul rapporto con la natura che Rigoni Stern regalò — attraverso Mazzi — alla comunità vestonese. Marchesi ha scelto di raggruppare i testi in quattro nuclei: il primo è legato al conferimento della cittadinanza onoraria e ruota attorno al breve discorso che Rigoni Stern non riuscì a pronunciare nel ’77 per l’emozione. Poi c’è il nucleo dei racconti legati alla campagna di Russia: la conferenza sulla battaglia di Kotovskij, nell’agosto del 1942, primo tragico incontro degli alpini con la guerra nella steppa e i surreali conflitti fra i comandi italiani e tedeschi. Poi i commoventi dieci racconti sulla ritirata di Russia, con la fratellanza che sorge con i civili russi ma anche le immagini terribili di commilitoni rimasti indietro nella tormenta, sfiniti dal dolore e dalla fame. Non meno avvincente il capitolo dedicato alla natura e alla bellissima conferenza che lo scrittore tenne per chiarire i rapporti della sua letteratura con questo tema. Ambientalista ante litteram, attraversato da un senso pànico della natura, Rigoni Stern scrive: «La terra, l’aria, l’acqua non hanno padroni ma sono di tutti gli uomini o meglio di chi sa farsi terra, aria, acqua e sentirsi parte di tutto il creato».
Infine il capitolo della memoria, strettamente legato a figure e ricordi vestonesi e al dovere testimoniale che Rigoni Stern sentiva verso i suoi alpini, «e del come e del perché quei sessantamila montanari italiani furono mandati tremila chilometri lontani dalle loro valli a penare disperatamente fame, freddo, sonno, ferite, congelamenti e morte per una patria che a loro aveva negato tutto».