Sindaco subito, con meno voti
Astensione record e bipolarismo permettono a Del Bono di vincere al primo turno
L’astensionismo record, che ha superato il 42 per cento, ha permesso a Emilio Del Bono di essere eletto al primo turno. Il sindaco uscente ha preso poco più di 44 mila voti mentre i suoi predecessori andarono al ballottaggio anche se ottennero più consensi. Fu così per Martinazzoli nel 1994 (55.880 voti al primo turno), per Corsini nel 1998 e nel 2003 (49.602 e 54.864 voti), mentre Paroli fu eletto al primo turno. Quattro bresciani su dieci hanno disertato le urne: la città degli immigrati, degli anziani, delle nuove povertà e dei nuovi ceti produttivi è sempre meno incasellabile nel voto. Sullo scenario creatosi pesa anche l’aumentato bipolarismo. Nonostante gli otto candidati sindaco, Del Bono e Vilardi insieme hanno preso quasi il 92 per cento dei voti. In passato non era così e fino al 2008 la destra aveva due candidati di peso al primo turno. Nel 1994 poi furono cinque gli aspiranti sindaco a superare i 10 mila voti a testa.
Per vincere le elezioni al primo turno a Emilio Del Bono sono bastati poco più di 44mila voti, ovvero il 30% degli aventi diritto. Nel 1994 a Mino Martinazzoli non furono sufficienti 56 mila voti (34% degli aventi diritto) e fu costretto ad andare al ballottaggio. E così accadde nel 2003, quando Paolo Corsini prese quasi 55 mila voti (35% del corpo elettorale) ma dovette andare comunque al secondo turno. Una coalizione sufficientemente ampia e in grado di intercettare tre voti su dieci oggi è insomma sufficiente per conquistare Palazzo Loggia. Questo non toglie ovviamente alcun merito alla coalizione che è appena stata riconfermata e che, in un contesto nazionale sicuramente non favorevole al centrosinistra, ha avuto la capacità di vincere al primo turno, ma introduce elementi di complessità.
Il voto compatto all’amministrazione Del Bono, come potrebbe suggerire un’analisi limitata alle percentuali, in realtà non esiste, complice il progressivo allontanamento dalle urne degli elettori. Nel 1994 a non votare era stato il 14% dell’elettorato. Questa volta l’astensionismo ha superato il 42 per cento. Se a questo si aggiunge che il corpo elettorale si è nel tempo un po’ asciugato (la città del 1994 aveva molti meno immigrati e quindi tutti i maggiorenni avevano diritto di voto) si arriva a un numero di elettori molto più basso. Martinazzoli, nel 1994, vinse al ballottaggio con il 56% dei consensi e 66 mila voti. Del Bono, nel 2013, vinse al ballottaggio con il 56% dei consensi e 47 mila voti. Il voto di domenica scorsa, oltre al fatto che per vincere servono sempre meno voti, suggerisce anche che c’è sempre meno spazio per opzioni terze. Considerando gli 82mila voti validi, Del Bono e Vilardi ne hanno presi oltre 75mila insieme, poco meno del 92% del totale. Gli altri sei candidati, Cinque Stelle compresi, hanno preso l’ 8% dei voti. Nel 2013, a titolo di confronto, i voti delle prime due coalizioni rappresentavano il 76% di chi votò, oltre 16 punti percentuali in meno.
Nel 2008, pur in un contesto di polarizzazione spinta, i due candidati maggiori (sempre Paroli e Del Bono) ottennero l’ 86% dei voti. Se si va più indietro nel tempo emerge invece la trasformazione politica che c’è stata negli anni. Da tempo siamo abituati a immaginare un unico candidato del centrodestra già al primo turno, ma questa è in realtà la storia degli ultimi dieci anni. Nel 2003, quando vinse Corsini al ballottaggio, al primo turno erano due i candidati dell’area di destra, Viviana Beccalossi e Cesare Galli (per la Lega Lombarda). Nel 1998 stesso discorso: da una parte Corsini e dall’altra Giovanni Dalla Bona e Cesare Galli. Per non parlare del 1994, prime elezioni dopo tangentopoli e il crollo dei partiti della prima Repubblica, dove su otto candidati (come questa volta) furono ben cinque quelli che superarono i 10mila voti: Martinazzoli (centrosinistra), Vito Gnutti (Lega e area governo), Viviana Beccalossi (Alleanza nazionale), Angelo Rampinelli (mista di centro), Fausto Manara (Rifondazione comunista). Negli anni, almeno nel voto amministrativo, c’è stata una progressiva polarizzazione. Merito di una legge elettorale che premia le coalizioni larghe ma anche relativamente omogenee e una attenzione sempre maggiore verso la figura del candidato sindaco. Tutto bene? Non proprio, perché nel frattempo l’elettorato si è allontanato sempre più, come dimostrano i dati sull’astensionismo di domenica scorsa. Più di quattro elettori su dieci a casa sono cifre inimmaginabili per un contesto come quello bresciano. Servono meno voti per conquistare la Loggia, ma la città degli anziani, degli immigrati, dei giovani (sempre meno), delle sacche di povertà crescenti e dei nuovi ceti produttivi è sempre meno incasellabile dal voto. Per chi governa un elemento di difficoltà in più.
Destra e candidati
Nel 1994, 1998 e 2003 La destra ha sempre avuto due candidati di peso al primo turno