Scontri in piazza la ricostruzione: «Sfondarono»
In aula i testi del pm: 14 gli imputati per lesione e resistenza
Le direttive, nero su bianco a firma del questore. Gli accordi verbali, tempo reale, affinché tutto vada come deve. Le grida, di qualcuno, a fagocitare gli animi. Le sedie, le bottiglie, i fumogeni, i posacenere e le transenne per aria, e verso la celere. Gli scudi, i calci, i manganelli e le camice strappate. Fino all’ingresso forzato in piazza Loggia dove si sta celebrando il 38esimo anniversario della Strage, con l’ex ministro Annamaria Cancellieri.
È il 28 maggio 2012. E per la prima volta il questore dispone che il corteo del Kollettivo studenti in lotta non entri in piazza se non al termine degli interventi ufficiali. Questioni di «sovraffollamento», scrive: parole che puntualmente la difesa ricorda in udienza. Ma «non si poteva prescindere dalle intenzioni, palesemente di contestazione e protesta al ministro, con cui quel corteo è partito». In testa, uno striscione inequivocabile: «Cancellieri go home». E a spiegarlo in aula sono gli ex dirigenti di polizia, chiamati a testimoniare dal pm Ambrogio Cassiani nel processo a carico di quattordici imputati — attivisti del Kollettivo e vicini al centro sociale Magazzino 47 — per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.
«Ho seguito le fasi preliminari, la mediazione e le indagini successive. Le premesse sembravano buone», ricorda Giovanni De Stavola, allora dirigente Digos, oggi responsabile dell’antiterrorismo a Bari. Invece «la tensione è salita subito, sin dalla partenza del corteo, a passo troppo veloce perché si rispettassero i tempi previsti». C’è qualcuno, tra i manifestanti, particolarmente agitato: «La questura vuole impedirci l’ingresso in piazza», urla al gruppo secondo la polizia. «Ma non era assolutamente questa la nostra finalità. E lo abbiamo ribadito lungo tutto il percorso».
I primi scontri in corso Matteotti: li ripercorre anche l’ex dirigente dell’Anticrimine Domenico Farinacci. «Decisi di fermarli, ma i manifestanti iniziarono a spingere il personale schierato e dare calci. Alcuni di loro lanciarono sassi e materiale preso da un cantiere lì vicino , compresa una recinzione». Uno degli uomini Digos ne rimedia un dito rotto.
«Da quel momento per me è diventato tutto molto più difficile» ricostruisce De Stavola. Gli slogan, le incitazioni al megafono: «Andiamo e riprendiamoci la piazza». Frase che però, gli avvocati difensori Manlio Milani e Silvia Guarneri sottolineano venga usata da decenni in ogni manifestazione per l’anniversario della Strage. Anche là dove di problemi non ce ne sono stati.
Nel 2012, altra «eccezione»: la stessa Cgil, promotrice degli eventi istituzionali, organizza e gestisce una sorta di servizio d’ordine a protezione della piazza, perché tutto fili liscio. Ma in Largo Formentone la tensione sale alle stelle. De Stavola anticipa la testa del corteo «e mi sono avvicinato alle transenne, presidiate, proprio per gestire con Damiano Galletti (segretario Cgil) l’ingresso dei trecento attivisti al fine di evitare ogni contrapposizione e facendo defluire il reparto Mobile in modo che nemmeno lo trovassero schierato». Ma «qual- cuno ha esasperato gli animi». Nomi e cognomi. «I manifestanti, forti di alcune sollecitazioni, hanno iniziato a forzare i blocchi». Davanti, «almeno una decina di minorenni». Ma il ministro è ancora lì, manca il via libera, è questione di minuti. «Mi hanno travolto: ricordo bene quel momento, il mio primo pensiero è stato portare a casa la pelle. Hanno sfondato e sono entrati». Non prima che, di nuovo, volino sedie di ferro, bottiglie, tazzine e posacenere. In aula parla anche il signor
De Stavola Non volevamo impedire loro di entrare in piazza e lo sapevano: arrivati alle transenne anch’io sono stato travolto
La difesa Gli avvocati insistono sulle prescrizioni: per «sovraffollamento» e non per contestazioni
Livio Saronni: ex titolare del bar all’imbocco di Largo Formentone, sporse denuncia: «Mi hanno distrutto il plateatico. Hanno preso tavoli, sedie e ombrelloni. Danni per oltre duemila euro».
Giovanni De Stavola e Domenico Farinacci ribadiscono: «Sarebbe bastato aspettare qualche minuto». «Esponendomi — dice il primo — ho insistito perché l’ingresso in piazza non fosse impedito ma solo posticipato, eppure non è stato sufficiente. Perché chi quel corteo lo diresse fomentò un clima di contrapposizione nonostante gli accordi. Ho cercato di evitare in ogni modo lo sfondamento».
Ma la difesa non ci sta e incalza ancora sulle prescrizioni e il presunto «sovraffollamento»: «Ci sarebbero stati tutti, senza problemi». Si torna in aula in marzo.