IL TEOREMA IMPERFETTO
Tutto, o quasi, è stato scritto sull’anomalia del risultato elettorale cittadino, la sua eccezione rispetto all’ondata del vento giallo-verde che ha investito la penisola, il suo essere divenuto un «modello» di lettura della congiuntura politica, la tenuta del centro sinistra che ha letteralmente disintegrato il Movimento Cinque Stelle. E poi i meriti del traguardo inatteso: il buon governo e la misura composta del sindaco Del Bono e dei suoi, la corsa dei candidati che, alla ricerca di preferenze, hanno riportato la politica casa per casa e soprattutto la tenuta, questo è l’elemento più significativo e degno di approfondita analisi, delle culture politiche che hanno conservato, caso quanto mai raro in Italia, profonde radici dall’andamento carsico, ma vivo. Mi riferisco alle culture sociali e della solidarietà, cominciando da quella tradizione cattolico democratica e liberale, (per dirla alla Bertoletti), che è la storia di una fedeltà a qualche valore fondante della vita collettiva. Eppure in questa lettura che non può trascurare in ogni caso la presenza di una destra politica confluita sulla leadership della Lega, fino ad oggi egemone nelle valli e da oggi divenuta presenza solida anche in città, c’è un tassello che rompe l’anomalia, che fa il territorio bresciano identico al territorio nazionale. Ed è la crescita della disaffezione al voto, con uno storico 42% di elettorato cittadino che diserta le urne. Le pagine del Corriere hanno bene descritto il fenomeno che consente, fra l’altro, di assumere la guida della Loggia con minori preferenze. Ma sono le ragioni che giustificano la diserzione a meritare, fino dalla prime decisioni, una attenzione non superficiale, delle modalità di amministrazione che dovranno caratterizzare lo stile della nuova giunta. Il «modello Brescia» sarebbe stato, sarà, una aritmetica perfetta se fosse riuscito, se riuscirà a prolungare la logica del risultato nella piena assunzione della responsabilità dell’elettorato, nella sua «partecipazione» al voto. Poiché è facile desumere che la rinuncia alla scheda comporta come conseguenza la rinuncia alla partecipazione. In questo il progetto dei «quartieri» deve avere come obiettivo il ritorno alla dimensione della vita collettiva. Non so quali possono essere gli strumenti più adeguati per cogliere insieme il senso della «politica» come coagulo della società. Ma è certo che la gestione amministrativa, deve riaprire tutti i possibili canali per il ritorno alla «politica». La città non può rinunciare al 42% di sé. E dovrebbe da subito capire dove stanno l’astensionismo e la disaffezione, avendo l’orgoglio di capirne le ragioni e i bisogni.